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"LIBERI PERCHE' INNOCENTI"

Gino Strada, fondatore di Emergency, ha aperto la conferenza stampa mostrando i titoli ingiuriosi de Il Giornale che ha annunciato di aver denunciato.

“Il procuratore capo della procura di Roma ha aperto un’indagine contro ignoti per calunnia aggravata e continuata ai danni di Emergency”. Così Gino Strada, fondatore di Emergency, ha aperto la conferenza stampa che si è tenuta nella sede milanese di Emergency. A fianco a lui Matteo Dell’Aira e Marco Garatti, mentre Matteo Pagani, il logista, era in collegamento skype. Dopo nove giorni di detenzione, i tre cooperanti hanno le facce stanche e provate. Da un lato c’è la gioia del rientro, dall’altra, invece, lo stupore per la vicenda che li ha coivolti e lo sgomento per i sospetti e le insinuazioni fatte da giornalisti e politici. A dare voce allo sgomento è sempre Gino Strada che mostra i titoli ingiuriosi de Il Giornale di Feltri, primo fra tutti a dare per scontato la presunta complicità dei tre cooperanti di Emergency coi talebani. “Questa volta dice – dice Strada – li abbiamo denunciati. E’ stato aperto un fascicolo contro ignoti afghani, mi piacerebbe, invece, che ne venisse aperto un altro contro nostri concittadini notissimi”. A finire i ringraziamenti per il ministero degli Esteri, la diplomazia italiana, Stephan de Mistura, inviato speciale delle Nazioni Unite, e alcune delle alte cariche afghane.

Dopo Strada il primo a prendere la parola è Marco Garatti, in Emergency da dieci anni, che racconta lo stupore provato il giorno dell’arresto e ribadisce la sua innocenza, così come quella dei colleghi. Il sorriso è amaro quando gli viene ricordata una delle tante pseudoaccuse che erano circolate durante i giorni della sua prigionia, ossia quella di aver tramato coi talebeni per il sequestro del giornalista de La Repubblica, Daniele Mastrogiacomo. “Quando hanno rapito Mastrogiacomo – dice Garatti – mi trovavo in Sierra Leone da sei mesi”. Alle parole del chirurgo bresciano, seguono quelle di Matteo Dell’Aira. “Non abbiamo avuto avvisaglie di quello che ci stava accadendo – esclama -. E’ evidente che il nostro ospedale e le testimonianze che raccogliamo danno fastidio. Il quaranta per cento delle persone ricoverate nel nostro ospedale di Lashkar Gah sono bambini. Sono un infermiere, ma sono anche una persona pensante e con un cuore. La guerra non è come la raccontano i giornali, ma è sangue, dolore e merda”. Una volta rientrati, le preoccupazioni dei tre cooperanti sono rivolte all’ospedale di Lashkar Gah, che, in seguito alla vicenda è stato chiuso. Unica struttura sanitaria gratuita e efficiente nella regione dell’Helmand. “Vorremmo sapere e fare chiarezza – dice Matteo Pagani – su quello che ci è successo, sul perché l’ospedale è stato chiuso e sul perché i nostri pazienti ora rimangono senza cure”.

Assaliti dalle domande dei giornalisti, Dell’Aira, Pagani e Garatti raccontano anche di come hanno vissuto i giorni di detenzione. “Ci hanno sempre trattato bene – dice Dell’Aira -. Specie i carcerati. C’era un ragazzo afghano che parlava inglese, Hamid, che ci ha proprio coccolato. Nella situazione drammatica siamo venuti a contatto con una grande umanità”. “C’era molto tempo per pensare – racconta Matteo Pagani – ma cercavo di non concentrarmi su quello che sarebbe stata la mia sorte. Pensavo alla mia famiglia, ai miei amici, ai ricordi. Pensieri sicuri, solidi, che mi aiutavano a rimanere lucido”. Marco Garatti racconta, invece, di aver “festeggiato” il compleanno in carcere, il giorno in cui ha ricevuto la visita dell’ambasciatore italiano a Kabul, e che, nonostante la paura per la propria incolumità, ha sempre messo in chiaro di voler uscire a testa alta dalla vicenda.  “In questi giorni – afferma il medico bresciano – leggerò con tranquillità tutto quello che è stato scritto in questi nove giorni. Fa molto male leggere affermazioni infamanti, questa è la cosa peggiore”.

E a quanti li accusano di fare politica i medici di Emergency rispondono di fare solo il loro dovere. “Noi testimoniamo tutto quello che accade – afferma Dell’Aira -. E’ un nostro diritto e un nostro dovere far sapere quello che sta accadendo in Afghanistan”. “Abbiamo sempre criticato tutte le parti in lotta – conclude Garatti. Un attentatore kamikaze, non è meglio di un soldato e questo lo abbiamo sempre detto”.

Benedetta Guerriero

Tratto da: http://it.peacereporter.net/articolo/21555/%27Liberi+perch%E9+innocenti%27

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