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LO STRANO CASO DELLA "CALCESTRUZZI ERICINA"

30/05/2007

Mentre un’azienda confiscata alla mafia viene boicottata e rischia di chiudere, un Prefetto cerca di salvarla, ma viene improvvisamente trasferito. Una vicenda complessa, i cui retroscena gettano ombre anche sulle stanze romane del potere

È il 29 ottobre 2001 e tre uomini stanno viaggiando in macchina alla volta di Catania. Sono Antonino Birrittella, Vincenzo Mannina e Francesco Pace, imprenditori della provincia di Trapani. Vanno a incontrare i vertici della Ira Costruzioni Generali srl, ditta che si è aggiudicata un importante appalto pubblico per il consolidamento delle banchine del porto di Trapani. L’opera richiede una fornitura di calcestruzzo del valore di circa due miliardi di vecchie lire che i tre vorrebbero venisse assegnata alla “Mannina Vito srl”, di cui Vincenzo, figlio di Vito, è amministratore.
Birrittella, Mannina e Pace sanno che per quel lavoro la Ira Costruzioni è già stata invitata dal prefetto di Trapani Fulvio Sodano a rifornirsi presso la Calcestruzzi Ericina, un’impresa confiscata alla mafia e in gravi difficoltà economiche. Ma due miliardi sono una cifra cui non intendono rinunciare e per questo motivo hanno deciso di andare fino a Catania, per intimidire i rappresentanti della ditta e convincerli a collaborare con loro nonostante le richieste del Prefetto. La sollecitudine di Sodano per le sorti della Ericina ha però richiamato sull’appalto del porto di Trapani l’attenzione delle istituzioni, fornendo alla Ira Costruzioni un solido argomento per respingere le loro pressioni. Un fallimento che Pace non dimenticherà facilmente.

Il calcestruzzo del boss. La Calcestruzzi Ericina, azienda che gestisce tre impianti di produzione del calcestruzzo a Trapani, Valderice e Favignana, è stata confiscata al boss Vincenzo Virga – capo mandamento di Trapani – nel 1997, mentre era ancora latitante. Virga è un pezzo grosso della mafia locale, l’uomo cui nei primi anni Novanta si sarebbe rivolto anche Marcello Dell’Utri, nella qualità di presidente di Publitalia, per estorcere denaro all’ex senatore del Pri Vincenzo Garraffa, presidente della società Pallacanestro Trapani (per questo reato nel 2004 Virga e Dell’Utri sono stati condannati in primo grado a due anni di carcere, sentenza confermata il 15 maggio scorso dalla terza sezione della Corte d’Appello di Milano).
Al momento del sequestro la Calcestruzzi era una realtà economica fiorente, anche perché – si legge nella relazione di minoranza della Commissione antimafia del 2006 – «gli imprenditori della zona venivano costretti ad acquistare il calcestruzzo presso detta azienda, riconoscendo inoltre a Virga un surplus percentuale rispetto alla quantità di cemento acquistato». In un primo momento, avvenuta la confisca, le commesse della Calcestruzzi erano diminuite senza compromettere eccessivamente la salute finanziaria dell’azienda. Gli inquirenti scopriranno infatti che durante quei primi quattro anni l’ex proprietario e i suoi figli erano riusciti a mantenere il proprio controllo sugli affari: «Abbiamo accertato che fino al 1999 i figli del capo mandamento, cioè i figli del boss mafioso, anche loro arrestati e poi condannati, erano presenti tutti i giorni nell’impianto e decidevano i prezzi da fare ai vari imprenditori – ha raccontato alla giornalista di Report Maria Grazia Mazzola il sostituto procuratore della repubblica di Trapani Andrea Tarondo – e che le fatture venivano emesse dalla società confiscata, quindi dallo Stato, ma venivano pagate al mafioso».
Il numero di ordinativi, più o meno stabile durante i quattro anni, era invece crollato nel febbraio 2001 quando Virga fu catturato: cessato il potere intimidatorio del boss, gli imprenditori che avevano continuato a rifornirsi presso la Calcestruzzi durante la sua latitanza hanno cominciato a disertare gli impianti.

La confisca è solo l’inizio. Arrestato Virga, e prima di lui i figli Francesco (nel 1996) e Pietro (nel luglio 1999), sostituiti i precedenti amministratori giudiziari e ricondotta l’azienda al reale controllo dello Stato, la Calcestruzzi Ericina si era trovata improvvisamente esclusa dal mercato. «Alcuni clienti che prima si rifornivano da noi hanno cominciato a non effettuare più ordini né a chiedere preventivi, nonostante avessero dei cantieri aperti – racconta Giacomo Messina, ragioniere della Calcestruzzi dal 1992 –. In quel periodo abbiamo avuto un calo della produzione del 40-50%. Il volume d’affari è passato da 2.200.000 euro a 1.100.000 euro, costringendo l’azienda a ricorrere alla cassa integrazione». I dipendenti si erano da subito accorti che gli imprenditori locali li stavano boicottando, preferendo forniture di altri impianti nonostante la Ericina confiscata offrisse prezzi più che concorrenziali. Le loro denunce erano arrivate fino ai magistrati attraverso le parole del nuovo amministratore giudiziario dell’azienda, Luigi Miserendino, che, ascoltato nel 2003, aveva raccontato di un mercato fortemente controllato da «alcuni soggetti» e di imprenditori che venivano «costantemente indirizzati verso impianti di calcestruzzo diversi da quello che amministro e in particolare l’impianto di Mannina e l’impianto [sito nel Comune] di Paceco denominato Sicil Calcestruzzi».
A prescindere dal fatto che i privati non trovassero più nell’azienda confiscata la possibilità di acquistare in nero, ovvero senza fattura, e che questo fattore potesse incidere sul numero degli ordinativi, si manifestava una concreta volontà di escludere la Ericina dal novero dei fornitori, al punto che alcuni lavoratori erano stati direttamente minacciati: due di loro, mentre andavano da alcuni imprenditori aggiudicatari di appalti pubblici per invitarli a rifornirsi dalla loro azienda, erano stati avvicinati da sconosciuti e caldamente consigliati a «cessare questa attività e farsi gli affari loro». Ma chi aveva interesse a boicottare la Calcestruzzi Ericina?

Una lotta tra mafia e Stato. Secondo quanto avrebbero rivelato le successive indagini della Squadra mobile di Trapani, l’azienda confiscata era osteggiata da Francesco Pace, erede di Vincenzo Virga al vertice del mandamento di Trapani, il quale fino al giorno del suo arresto, avvenuto nel novembre 2005, avrebbe esercitato – con la collaborazione di altri presunti affiliati, tra i quali Antonino Birrittella e Tommaso Coppola (anche loro arrestati nel 2005) – un capillare controllo sulle realtà imprenditoriali della zona, estorcendo il pizzo e imponendo sub-appalti, forniture e noli alle ditte che si aggiudicavano appalti pubblici.
In tale condizione di ingerenza mafiosa, l’ingresso dello Stato nel mercato del calcestruzzo, attraverso la gestione dell’impresa confiscata a Virga, si era tradotto in un concreto ostacolo alle attività della consorteria, poiché ogni affare concluso dalla Calcestruzzi finiva con il coincidere con un mancato guadagno per il mandamento locale. Per questo motivo Pace e i suoi uomini sin dal 2001 avevano tentato in tutti i modi di emarginarla dirottando gli imprenditori presso impianti  controllati direttamente da loro, in particolare quelli di Vincenzo Mannina e la Sicil Calcestruzzi srl,  riconducibile allo stesso Pace.
I loro propositi si erano però scontrati, come abbiamo visto, con le iniziative dell’allora Prefetto di Trapani, Fulvio Sodano, preoccupato non solo di garantire i posti di lavoro della Calcestruzzi Ericina, ma anche di dimostrare la capacità dello Stato di salvaguardare e rilanciare i beni sottratti alla mafia. Progetto per il quale aveva chiesto la collaborazione degli amministratori giudiziari, dei rappresentanti dell’agenzia del Demanio, della Sovrintendenza ai beni culturali e degli industriali, nonché dei sindaci di Trapani, Valderice e Favignana. Il Prefetto aveva anche incaricato l’associazione Libera di elaborare un progetto per il rilancio dell’azienda, che prevedesse in ultima battuta l’affidamento del bene ai suoi undici dipendenti, che si sarebbero appositamente costituiti in cooperativa (vedi box a pag. 18).
È in questo contesto che la Prefettura era riuscita a procurare all’impresa confiscata l’importante commessa della Ira Costruzioni di Catania, consentendole di uscire dalla gravissima crisi del 2001. Ma proprio tale episodio aveva convinto Francesco Pace che l’interesse dello Stato per le sorti della Calcestruzzi stava diventando troppo ingombrante e che fosse necessario intervenire. Dato che escluderla dal mercato era diventato impossibile, Pace e i suoi uomini avevano pensato di riacquisire la Calcestruzzi nelle disponibilità di Cosa Nostra. E a tal scopo avevano mosso un’altra pedina: Francesco Nasca.

Un uomo al servizio delle cosche. Francesco Nasca, direttore tributario dell’agenzia del Demanio di Trapani, si è occupato fino al 2002 delle pratiche per la gestione e la destinazione dei beni confiscati. Un uomo, a detta di Antonino Birrittella, «liccu di soldi», ossia avido di denaro e per questo già altre volte disponibile alle richieste di Pace.
Nasca, secondo quanto dichiarato da Birrittella ai magistrati, era stato incaricato di valutare al ribasso i beni della Calcestruzzi Ericina predisponendone la vendita a prezzi stracciati. Secondo i piani della consorteria mafiosa l’azienda sarebbe stata acquistata da Vincenzo Mannina e questa operazione avrebbe consentito al gruppo non solo di consolidare il proprio monopolio del calcestruzzo, ma anche di ricavarne un guadagno immediato, comprando gli impianti a meno della metà del loro valore (400mila euro anziché il milione stimato dall’ingegnere Santoro, incaricato nel 2003 dal Demanio di Palermo della valutazione).
Fu a questo scopo che Francesco Nasca si recò alla Calcestruzzi, munito di carta e penna: «Ricordo che in un certo periodo [Nasca] aveva cominciato di sua iniziativa a effettuare la valutazione dei beni aziendali – ha raccontato Luigi Miserendino – tanto che seppi dai dipendenti che si era recato all’impianto per compilare le schede tecniche di valutazione dei mezzi. La dott.ssa Lanna [Direttore della filiale di Palermo dell’Agenzia del Demanio] appresa da me tale circostanza si meravigliò dicendo che il Nasca non era stato autorizzato né aveva ricevuto incarico in tal senso». Nasca non era quel che si dice un funzionario diligente perciò, poco tempo dopo, nel 2002, prima ancora che venisse scoperto il suo ruolo nell’affaire Ericina,  era stato sollevato dal   suo incarico per «condotte non conformi ai doveri d’ufficio».
Del resto, che nelle stanze del Demanio di Trapani regnasse un clima di poca trasparenza era stato evidenziato già nel settembre 2001 da una relazione inviata alla locale Procura dal prefetto Sodano in cui si rilevavano «notevoli ritardi a volte di parecchi anni, inspiegabili comportamenti dilatori e persino omissivi da parte della suddetta Agenzia del Demanio». Francesco Nasca verrà arrestato nell’aprile 2007 con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

Intanto, a Favignana. Mentre nei dintorni di Trapani la Calcestruzzi assisteva al drammatico crollo degli ordinativi, subendo la sleale concorrenza delle imprese gestite da Pace e i suoi uomini, nuovi problemi sorgevano anche sull’isoletta di Favignana, sede del terzo impianto, da sempre punto di forza dell’impresa perché unico fornitore di calcestruzzo su tutta l’isola.
I silos erano stati costruiti su un terreno concesso in comodato d’uso a Virga durante la costruzione della galleria Scindo Passo e da allora l’impresa non si era più spostata.

Dopo la confisca il Comune di Favignana aveva però riconosciuto all’area un grande valore paesaggistico, sollecitando la chiusura degli impianti: una decisione di per sé più che legittima, ma sulla cui tempistica la passata Commissione antimafia ha rilevato elementi di sospetto, ritenendo singolare che la Calcestruzzi rischiasse di chiudere proprio in un momento in cui l’espansione dei villaggi turistici le avrebbe garantito buoni profitti. Per di più – si legge nella relazione di minoranza – in alternativa all’azienda confiscata, il Comune aveva previsto la possibile costruzione di nuovi impianti su un terreno per il quale aveva già stipulato accordi con «un  soggetto quasi nullatenente (eppure, evidentemente, in grado di disporre di elevati capitali per l’acquisto del terreno e l’installazione di un impianto industriale) già oggetto di un precedente intervento dell’A.G. proprio per la realizzazione di un impianto abusivo per la produzione di calcestruzzo».
La Calcestruzzi è riuscita a presevare l’impianto di Favignana solo grazie all’intervento della Prefettura e ad una proroga concessa dalla Sovrintendenza dei Beni Culturali e Ambientali.

Acquirenti intercambiabili. Ma torniamo a Trapani e al progetto di Pace di riportare la Calcestruzzi sotto il controllo mafioso. Nonostate l’uscita di scena di Nasca nel 2002, il proposito di fare acquistare a Vincenzo Mannina l’impresa confiscata non era stato per nulla abbandonato, anzi aveva trovato la maniera di presentarsi alle istituzioni con un volto rispettabile. Nel gennaio 2003 Marzio Bresciani e Francesco Bianco, allora presidente e direttore dell’associazione degli industriali di Trapani, si erano rivolti al prefetto Sodano con la proposta di conferire il titolo di  Cavaliere del Lavoro all’imprenditore Vito Mannina e in quell’occasione avevano anche accennato all’interesse del figlio, Vincenzo, per l’acquisto della Calcestruzzi Ericina. Sulla fattibilità dell’operazione avevano riportato niente meno che il parere positivo del funzionario del demanio Francesco Nasca (all’epoca già sollevato dal suo incarico).
Il Prefetto aveva però espresso delle riserve sull’iniziativa, ben sapendo che la vendita del bene avrebbe annullato il valore simbolico  della battaglia che in quegli ultimi anni era stata fatta a sostegno dell’azienda confiscata. Li aveva dunque rimandati all’ente competente, il Demanio, lasciando intendere che, se interpellato, avrebbe dato parere negativo.
Le resistenze del Prefetto vennero interpretate da Pace e i suoi uomini come il segnale di sospetti gravanti su Vincenzo Mannina, perciò venne individuato un altro possibile acquirente per la Calcestruzzi, Tommaso Coppola, un imprenditore meno riconducibile al boss locale. Ma non facero in tempo a tentare questo secondo piano ché nel 2005 Birrittella,  Pace e Coppola furono arrestati, in attuazione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Palermo Gioacchino Scaduto, per associazione mafiosa ed estorsione.

Inchiesta a due fasi. Gli episodi e le responsabilità individuali che abbiamo sin qui delineato sono ancora al vaglio dei magistrati, eppure sono tali e tanti i riscontri dei fatti descritti che abbiamo ritenuto valesse la pena raccontarli. Una prima, parziale, ricostruzione della vicenda era già stata pubblicata nella relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura, a partire dalle informazioni raccolte fino a quel momento dalla Polizia di Stato e dalle dichiarazioni rese dal prefetto Sodano al pm il 22 luglio 2004. Il resto delle notizie deriva dalle successive indagini coordinate dalla Dda di Palermo nell’ambito dell’operazione “Mafia e Appalti Trapani” che ha portato in una sua prima fase agli arresti nel novembre 2005 di Birrittella, Coppola e Pace (insieme ad altri tre imputati), accusati di appartenere a Cosa Nostra e di averne garantito la continuità operativa dopo l’arresto del boss Vincenzo Virga. Dopo questi primi arresti, le indagini hanno potuto beneficiare anche delle dichiarazioni di Antonino Birrittella che ha iniziato una proficua collaborazione con la giustizia e ha contribuito al successo della seconda tranche dell’operazione, conclusasi lo scorso 4 aprile con l’arresto anche di Vincenzo Mannina e Francesco Nasca, raggiunti (insieme ad altri quattro indagati, tra cui Francesco Pace) da un provvedimento di custodia cautelare in carcere con l’accusa di associazione mafiosa,  nel caso di Mannina, e di concorso esterno in associazione mafiosa nel caso di Nasca.
Gli arresti non hanno però inciso sui fatturati della Calcestruzzi Ericina, che oggi vive soprattutto grazie alle commesse procuratele negli ultimi anni dal nuovo prefetto di Trapani Giovanni Finazzo. Si aspetta l’avvio dei lavori per la realizzazione del nuovo impianto per il riciclaggio degli inerti, che dovrebbe garantire all’azienda un nuovo mercato.

L’accusa di Sodano. I recenti risultati delle due fasi dell’inchiesta “Mafia e Appalti Trapani” sono stati interpretati come una rivincita personale del prefetto Sodano che sin dal 2001 aveva denunciato i tentativi della mafia di boicottare la Calcestruzzi Ericina. La conferma investigativa delle dichiarazioni da lui rese ai pm lascia però ancora irrisolta la parte delle denunce che riguardano la sua vicenda personale.
Nel 2003 il Prefetto, che oggi è gravemente malato di distrofia muscolare, è stato trasferito con un ordine di servizio immediato ad Agrigento. Un trasferimento che il protagonista ha vissuto come una grave ingiustizia, un tradimento dello Stato verso un suo servitore che grandi energie stava profondendo per fare applicare la legge e consentire a un bene confiscato alla mafia di diventare il simbolo di istituzioni efficienti e di un’economia pulita.
Sodano era stato accolto da una Agrigento diffidente, che lo guardava con il sospetto che si riserva ai traditori: «Una città che sussurrava alle mie spalle mentre lo Stato consentiva alle malelingue di indicarmi come un poco di buono – ha raccontato al giornalista Felice Cavallaro –, la cosa peggiore che potesse capitarmi in tutta la vita. Roba da ammalarsi». Secondo Sodano l’ordine, giunto inaspettato al punto da apparire come una “rimozione”, era stato conseguente proprio alla sua attività a favore della Calcestruzzi Ericina e voluto dall’allora sottosegretario agli Interni del governo Berlusconi, il senatore Antonio D’Alì.
Il Prefetto non ha dubbi, e anche se oggi non è più in grado di parlare a causa della malattia, con l’aiuto della moglie e di un computer continua a indicare le presunte responsabilità del senatore D’Alì, oggi presidente della Provincia di Trapani, sul suo repentino trasferimento. Lo ha fatto anche davanti alle telecamere della trasmissione AnnoZero, e per questo il senatore lo ha citato in giudizio per danni, insieme ai giornalisti Stefano Maria Bianchi e Michele Santoro.
Nel 2004, a colloquio con i pm, Sodano aveva raccontato di aver ricevuto proteste da parte del senatore per i suoi interventi in favore della Calcestruzzi. E anche Luigi Miserendino, amministratore giudiziario dell’azienda confiscata, aveva dato prova del disappunto del senatore sugli interventi di Sodano raccontando ai pm dell’episodio, avvenuto nel 2002, di un imprenditore di Partinico che si era aggiudicato un appalto presso la zona industriale di Trapani e si era accordato con la Ericina per l’acquisto del calcestruzzo. Dopo un paio di forniture l’imprenditore aveva interrotto il rapporto con l’impresa chiedendo una «esorbitante» riduzione del prezzo e «asserendo che a ‘Paceco’ [sede della Sicil Calcestruzzi di Pace] gli avrebbero fornito il calcestruzzo a quelle condizioni». Qualche tempo dopo Miserendino avrebbe appreso dall’avvocato Carmelo Castelli, informato direttamente da Francesco Nasca, che l’imprenditore in questione «aveva deciso di rifornirsi altrove in quanto sollecitato in tal senso dal senatore D’Alì».
La Dda di Palermo sta indagando.

di Elena Ciccarello

tratto da NARCOMAFIE http://www.narcomafie.it/2007/05/30/lo-strano-caso-della-calcestruzzi-ericina/

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