Unilibera – presidio Roberto Antiochia Rotating Header Image

PERDONACI, IGNAZIO.

Ignazio Cutrò nasce a Bivona il 2 Marzo 1967 e diventa un imprenditore siciliano.
Non è un imprenditore qualunque, è un imprenditore onesto e l’onestà, a Bivona, non è ben accetta.
E’ la sera del 10 Ottobre 1999 e la vita di Ignazio cambia radicalmente; inizia quella che sarà una serie di attentati che andranno avanti fino al 2007.
Quella sera, infatti, in contrada Canfutino gli viene incendiata una pala meccanica; causa: incendio doloso.
 Il giorno dopo Ignazio deposita la denuncia contro ignoti : sarà la prima di una lunga serie.
Ma Ignazio non si abbatte, smonta la pala, la rivernicia, compra i pezzi di ricambio e finalmente, dopo 8 mesi di lavoro, la pala riprende a funzionare.
Nel Maggio 2006, dopo aver ricevuto l’invito per una gara d’appalto da parte dell’E.S.A. per la sostituzione di una condotta idrica in Contrada Donna a Ribera (Ag) , si aggiudica l’appalto e inizia i lavori.
Lavori che però durano molto poco.
Il pomeriggio del 23 Maggio gli arriva una telefonata : le tubature pronte ad essere immesse nello scavo sono state incendiate.
Con la testardaggine che lo contraddistingue Cutrò ricompra tutti i materiali e riesce a terminare i lavori per il termine previsto. Deposita la seconda denuncia contro ignoti.
Passano pochi mesi prima del nuovo attentato.
E’ il 23 Novembre 2006 e vengono incendiati tutti i mezzi che aveva in Contrada Castagna.
Gli attentati e i segnali minatori si susseguono ininterrottamente, a intervalli sempre più brevi l’uno dall’altro.
La terza legge della dinamica ci insegna però che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria; è proprio il 2006, infatti, l’anno in cui Ignazio decide di diventare testimone di giustizia.
Grazie alle sue dichiarazioni e deposizioni viene avviata l’operazione “face off” che porterà all’omonimo processo che ha visto, in sede finale, nel 2011, la Corte di Cassazione rigettare i ricorsi dei difensori di Luigi Panepinto, Maurizio Panepinto, Giovanni Favata e Domenico Parisi accusati di associazione mafiosa ed estorsione, rendendo definitive le loro condanne.
Minacce ed estorsioni continuano, l’apice viene raggiunto la mattina del 19 Settembre 2007.
Dopo aver guidato per recarsi a lavoro, Ignazio si rende conto che nella sua macchina erano state messe delle cartucce di arma da fuoco. E’ in questo momento che Ignazio capisce di essere vulnerabile, che il suo coraggio e la sua testardaggine non bastano, gli serve protezione, ma nessuno riesce o vuole garantirgliela.
Quando nessuno ti garantisce la protezione minima necessaria capisci che te la devi garantire da solo. Ignazio però non è solo, ci sono molti altri nella sua condizione che dicono basta e che decidono di unirsi per uno scopo comune: autodifendersi.
E’ il 3 Febbraio 2013 il giorno in cui lui e altri 36 testimoni di giustizia depositano l’atto costitutivo perla nascita dell’ASSOCIAZIONE NAZIONALE TESTIMONI DI GIUSTIZIA di cui Ignazio è presidente.
Purtroppo però l’auto-protezione, il coraggio e la testardaggine non possono bastare, non possono sconfigge la crisi economica e non sono sufficienti per colmare le lacune e le mancanze delle istituzioni, lacune a volte superficiali a volte troppo profonde per essere giustificate.
Prima di denunciare per tutelare il suo lavoro non poteva sapere che quella denuncia, il lavoro, glielo avrebbe fatto perdere .
Come ha scritto Ignazio stesso, pochi giorni fa, in una lettera inviata al Presidente della Commissione Centrale di Sicurezza : “Le scrivo per comunicarLe che oggi vince la mafia a Bivona, si è proprio così, sarò costretto a fare le valige ed andare via con la mia famiglia dalla mia terra. (…)
Io ho cercato di lavorare, ho cercato di mantenere la mia famiglia ma non ci sono riuscito dopo che ho denunciato. Tutto da quel momento mi è andato contro, economicamente parlando nemmeno le Istituzioni hanno impedito che io e la mia famiglia perdessimo tutto.”
La mafia ha vinto ma a perdere non è stato Ignazio Cutrò.
A perderci sono le Istituzioni di uno stato malato che davanti ai testimoni di giustizia non ha saputo per l’ennesima volta garantire la protezione e la dignità che meritano.
Ignazio voleva solo lavorare, voleva mantenere la sua famiglia non chiedeva niente di più. Chiedeva quello che uno Stato ha il DOVERE di dare ad un suo cittadino e ancor più a questo cittadino.
U
n cittadino che ha messo al primo posto la legalità e la giustizia, che poteva scegliere la strada più semplice, stare zitto, pagare e vivere tranquillo e che invece ha scelto la strada in salita, in cui si inciampa ma ci si rialza sempre, continuamente, fino al momento in cui, però, non riesci e non sai più come alzarti.
Che Paese è quello che ti insegna che denunciare la mafia non è conveniente? Che ti fa scappare dal tuo paese e che non ti permette di lavorare? Che incentiva l’omertà e punisce la verità?
A perderci però non sono solo le Istituzioni.
A perderci siamo anche noi del mondo dell’antimafia.
Dove le Istituzioni non arrivano abbiamo l’obbligo morale di arrivarci noi, prima che sia troppo tardi.
E oggi è tardi.
Perdonaci, Ignazio.
Perdonaci perché non siamo stati in grado di tutelarti, non siamo stati in grado di tutelare te, la tua famiglia e il tuo lavoro.
Fare un “mea culpa” dopo che le cose accadono non basta.
Lamentarsi di sentirsi impotenti non basta, oggi nel 2014, non può e non deve più bastarci.
Come ci ha insegnato Don Ciotti “non basta commuoversi,bisogna muoversi” e questa frase rimbomba nelle nostre teste oggi più che mai.
Perdonaci Ignazio, se puoi.

Elisa Saraco

 

0 Comments on “PERDONACI, IGNAZIO.”

Leave a Comment