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Uniti per un’altra Università

La scuola scende nuovamente in piazza.
Dopo la manifestazione del 4 ottobre, in cui un corteo di 40 mila tra genitori, professori, studenti e personale didattico aveva sfilato per le strade della città, anche gli studenti delle scuole superiori e dell’Università hanno fatto sentire la loro voce.
i trasformaz25 mila secondo gli organizzatori, 10 mila secondo la questura. Queste le cifre della mobilitazione studentesca del 10 ottobre, che ha visto un serpentone colorato e vivace riempire strade e piazze al suono di slogan contro la riforma della scuola primaria e media, la privatizzazione dell’università e i tagli di 1 miliardo e 441,5 milioni di euro previsti nei prossimi 5 anni.

“ La scuola è nostra e ce la riprendiamo”.
Un coro unitario, promessa di un autunno che si prospetta caldo per il governo Berlusconi, che solo pochi giorni fa approvava in fretta e furia, e grazie al ricorso alla fiducia, il decreto Gelmini, il ddl Aprea e la Legge 133.
Pochissime le bandiere, gli universitari hanno partecipato in blocco e da tutte le realtà: i collettivi di Palazzo Nuovo, quelli di Scienze MFN, gli studenti del Politecnico, Scienze Politiche, i ragazzi di Agraria e Veterinaria, che nei giorni scorsi hanno simbolicamente occupato il prato davanti la loro facoltà con tende e sacchi a pelo.

Un “no” deciso arriva anche dai banchi di scuola media e superiore. Un no al 5 in condotta, al maestro unico, alla riduzione dell’organico, al ritorno ai voti.
Intanto, il mondo accademico dice il suo “no” al taglio dei fondi per l’università, al blocco del turnover del 20% nei prossimi 5 anni, ergo un solo neoassunto su 5 pensionamenti, che determina un livellamento verso il basso della qualità della didattica e che condanna una generazione di ricercatori al precariato a vita.
Gli universitari non ci stanno. Dura e inamovibile la contestazione per la trasformazione degli atenei italiani in fondazioni private, che implicherebbe un doloroso addio all’istruzione pubblica e alla libertà di ricerca, che sarà prevalentemente indirizzata dalle grandi aziende.

Anche Unilibera c’era, al fianco degli altri studenti, dentro la piattaforma del Coordinamento Unito Interfacoltà che ha aderito all’Assemblea No Gelmini, proprio per dare forma e sostanza unitaria ad una lotta che ci riguarda e ci appartiene.
C’eravamo come studenti e come associazione che vuole essere promotrice di sensibilizzazione, formazione, crescita personale e collettiva.
Come futuri lavoratori e come soggetti che vogliono partecipare attivamente alla vita universitaria, intesa come costruzione condivisa di saperi e di democrazia.
Sentiamo il dovere di difendere i nostri diritti, la responsabilità di proporre e condividere.
Per questo motivo, la mobilitazione continuerà con un’assemblea aperta a tutti gli studenti, docenti e ricercatori che avrà luogo martedì 14 alle 15.30 nell’atrio di Palazzo Nuovo.

PER SAPERNE DI PIU’:
http://www.ilfaggiounito.blogspot.com/
http://www.assembleanogelminito.com/
http://www.myspace.com/sfprimaria
http://www.camera.it/parlam/leggi/08133l.htm

COSA DICE LA LEGGE?
Tre sono i punti principali della riforma.

1. Il taglio dei finanziamenti agli Atenei del 20% (in 5 anni 1 miliardo 441,5 milioni di euro in meno) (Art. 66). Secondo il mondo accademico, il minore investimento per l’Università si tradurrebbe in una bassa qualità della didattica e della ricerca (già poco competitiva nel panorama europeo) e nell’aumento delle tasse per gli studenti.

2. La possibilità per gli Atenei di passare da enti pubblici a fondazioni private (Art. 16). Privatizzando l’Università lo Stato rischia di disinteressarsi di un servizio pubblico costituzionalmente garantito (Art. 33) e fa riferimento a un modello economico-sociale molto diverso da quello italiano e più simile a quello anglosassone.

3. Il blocco del turnover al 20% (su dieci pensionamenti le assunzioni potranno essere solo due) (Art. 66). La riduzione del numero dei docenti corrisponde principalmente a tre conseguenze: l’impossibilità di accesso dei giovani ricercatori alla carriera universitaria, la fuga di cervelli all’estero e l’invecchiamento ulteriore della classe dei docenti.

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