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RESTIAMO UMANI -Lampedusa Città dell’Europa-

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articolo di Mariagiulia Fava

 

Appena si arriva nel paese di Lampedusa saltano all’occhio una vegetazione rada, casette giallo stinte, alcune pericolanti e abbandonate, un senso di  trascuratezza che non si può fare a meno di notare. Passano pochi giorni e dietro quell’ isola che così precipitosamente si percepisce come desolata, soprattutto nel mese di Aprile, si mostra una Lampedusa che si coglie piano piano, che si lascia vivere.  Una Lampedusa che io ho vissuto attraverso il campo di lavoro che ha visto unite le associazioni di Emmaus Italia, Libera e Legambiente in una settimana che prevedeva una prima parte di lavoro manuale, pulizia dell’ isola dai rifiuti e raccolta di materiale inutilizzato porta a porta, e una seconda di confronto e dibattito sul tema immigrazione nel convegno ” Lampedusa Città dell’ Europa”. Un’ esperienza intrapresa con la voglia di fare qualcosa di concreto per quell’isola  mi ha fatto capire come a volte si sottovaluti  quanto ti sappia dare quella stessa realtà che vedevi come bisognosa di aiuto, quanto sappia insegnare e quanto ti sappia far crescere una realtà come quella di Lampedusa.

Un’ esperienza condivisa con persone che con il loro modo di essere e di esserci in ogni cosa mi hanno trasmesso un senso di umanità che emergeva dalla semplicità di ogni gesto, un modo di vivere che non si poteva non assimilare, che si traduce  nell’ attenzione alla persona prima della cornice sociale che la limita, nel saper dar importanza più a quello che ci rende simili che a quello che ci rende distanti; le stesse associazioni di Emmaus Legambiente e Libera, che quotidianamente rappresentano realtà diverse, si sono trovate unite più che mai grazie a quei valori sottesi che difendono, il senso di umanità e l’ attenzione all’ altro.

Entrare a contatto con la popolazione di Lampedusa, con il loro modo di vivere, attraverso la raccolta porta a porta è stato motivo di un ulteriore arricchimento. Perché a Lampedusa anche solo semplicemente bussare alla porta di un estraneo è motivo di scambio, due chiacchiere che non ti vengono negate, storie raccontate, un’ ulteriore attenzione alla persona che si ha davanti, un’ ulteriore prova di quel senso di umanità che traspare dall’ isola. Racconti di quando c’ erano i migranti sull’ isola, dei vestiti e dei pasti offerti loro, prove di umanità raccontate con semplicità come se non racchiudessero niente di straordinario, e in quel modo così modesto di raccontare ti rendi conto di come sia grave essere arrivati al punto di ritenere straordinario, al punto che si pensa all’ attribuzione di un premio Nobel ai lampedusani, un comportamento così semplice come prestare aiuto a chi ne aveva bisogno.  Capisci come quello che è stato fatto dai lampedusani rappresenti  il minimo e di come farlo passare per eccezione metta al sicuro chi non vuole neanche fare questo minimo.

In quest’ aria di umanità che Lampedusa ha saputo trasmettermi nei primi giorni, arriva quello del convegno “Lampedusa città dell’ Europa”  che si apre con un intervento del sindaco Giusi Nicolini , un discorso chiaro senza giri di parole, di denuncia verso uno Stato più attento ai numeri che alle persone, un elogio ai lampedusani, alla prova di umanità mostrata , il pericolo di un’ emergenza che viene creata attraverso “soluzioni” che non consentono il rispetto dei diritti fondamentali dell’ uomo come lo stipare più di migliaia di migranti in una struttura non adeguata ad accoglierli, dove vengono trattati alla stregua di animali. Parole  di verità e denuncia , un modo di porsi così diretto che colpisce, l’ interesse e l’ amore per la propria isola nella testimonianza di una politica volta al bene comune non può non lasciare il segno.

Sono numerosi gli interventi, vengono denunciate le politiche europee che violano lo stesso articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’ Uomo, politiche come Frontex volte al solo scopo di identificare, respingere e espellere quelli che non vengono definiti se non come “clandestini”. Le testimonianze di chi anni prima aveva  vissuto in prima persona i “viaggi della speranza” ti fan render conto per un attimo a che punto si è giunti. Vengono fatte  proposte alternative, proposte di chi non ammette politiche disumane, proposte così facilmente realizzabili se solo si facesse politica volta al bene comune, volta al rispetto delle persone che fanno parte del nostro paese e di quelle che vi vogliono entrare. Quel senso di umanità percepito appena arrivata a Lampedusa si esprimeva più che mai in ogni singolo intervento, in quei valori che ognuno sentiva propri e di cui non ne ammetteva la continua violazione.

Sul volo di ritorno gli spunti di riflessione non mancano, la vicinanza di una realtà che troppo spesso vuole essere dipinta come estranea a noi, la stessa parola “straniero” vuole rimarcare questo distacco,  una realtà tenuta volutamente lontana dagli occhi di tutti, persone segregate in campi d’ accoglienza come se fossero un entità a parte, la causa scatenante di un’ emergenza che troppo spesso ci ha fatto scendere a compromessi. Ma quando quelle cifre diventano volti nessuna scusa regge, quando quella barriera che ha permesso di parlare di un “noi” e di un “loro” crolla si capisce l’ assurdità della paura scatenata da un fatto così naturale come la migrazione. E al ricordo di quando hai camminato nel cimitero di Lampedusa un senso di vergogna ti colpisce, vergogna di appartenere a un paese che non ha voluto evitare la morte di persone che altro non volevano che una vita migliore, un paese che ha troppo spesso difeso il fattore economico e troppo poco quello umano.  Il peso della responsabilità che il mondo occidentale di cui fai parte ha verso queste vite mancate grava su di te e ti porti a casa questo peso insieme a quel senso di umanità che hai vissuto e che è diventato la prova di come restare umani sia possibile, di come restare umani sia il minimo che si possa fare.

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