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“Caro Paolo…”

Report sull’incontro delle Agende Rosse Torino in ricordo di Paolo Borsellino.

 

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Oggi Paolo Borsellino avrebbe compiuto 74 anni. Li avrebbe compiuti se il 19 luglio di 22 anni fa , la sua vita non fosse stata stroncata dalla forza del tritolo ( per la precisione Semtex in utilizzo ai servizi segreti ) , esploso in via D’Amelio , sotto casa dell’anziana madre.
Ieri pomeriggio , le Agende rosse di Torino hanno voluto ricordare il procuratore Borsellino , nel miglior modo in cui si potesse fare : riflettendo su cosa sia cambiato da quel tragico 19 luglio e su cosa ancora ci sia da fare per muoverci verso la verità sulle stragi. Si può avere ancora speranza di giustizia?

Difficile rispondere in modo positivo a questa domanda dopo tanti anni di verità nascoste e alterate. Difficile essere ottimisti quando si vive in un Paese dove due magistrati non possono partecipare a un incontro pubblico in ricordo di un caro amico e collega per motivi di sicurezza.

Infatti ieri, al tavolo dei relatori, c’erano due sedie vuote. Erano quelle del sostituto procuratore Nino Di Matteo e del Procuratore Generale della Corte d’Appello di Palermo, Roberto Scarpinato. Anche in questa occasione lo Stato non si è dimostrato capace di garantire loro spostamenti sicuri e la loro assenza è pesata come un macigno. Si potevano respirare nella sala indignazione e rabbia e nel momento in cui è stato aperto il collegamento skype con i due magistrati, tutta la sala si è alzata per abbracciarli con un lungo e sentito applauso. E sono state le loro parole a tramutare, ancora una volta, i nostri sentimenti in qualcosa di positivo.

Il dott. Scarpinato alla domanda sul se l’Italia voglia davvero la verità sulle stragi ha risposto che esistono tante italie, che c’è un’ Italia che non si rassegna e dà sostegno al loro lavoro. Di Matteo a sua volta ha spiegato come non importi se gli italiani meritino o meno il loro sacrificio , che nel loro lavoro non si debba pretendere il consenso e il sostegno. Ci si deve solo chiedere se ne valga la pena. E la sua idea è che sì, ne vale la pena per la coscienza e colpevolezza di essere utile alla società.
Nessuna retorica. Motivazioni semplici ma profonde, che gli fanno tirare dritto , oltre alle aggressioni, alle minacce e agli ostacoli, per portare a termine il loro lavoro al servizio della giustizia e della verità.

Di fronte al loro costante ed ostinato impegno , a noi non è dato sederci e trincerarci dietro la nostra rassegnazione.

Questo il messaggio che ci hanno lasciato anche gli altri ospiti: Sonia Alfano presidente della commissione CRIM del Parlamento Europeo, Salvatore Borsellino e Marco Travaglio.

Nei loro interventi hanno voluto ricordarci a che punto siamo arrivati sulla verità di quegli anni di stragi e meritano di essere condivisi. Proverò qui a riportarne brevemente i contenuti.
Sonia Alfano ha iniziato il suo intervento criticando l’ultimo decreto svuota carceri che permetterebbe significativi sconti di pena anche ai condannati per mafia. << Fin ora il fine pena mai l’hanno pagato solo i famigliari delle vittime di mafia, questa è l’unica certezza >> ha affermato lapidariamente. I suoi toni erano pieni di sentimento e non ottimistici. Ha sostenuto che a suo parere il nostro Paese non voglia verità, che sembri sempre di lottare contro i mulini a vento e in alcuni casi si sia anche sbeffeggiati.
Ha raccontato degli episodi nei quali, in qualità di parlamentare europeo ha esercitato la sua prerogativa di visitare i detenuti Bernardo Provenzano, Totò Riina e Giuseppe Graviano. Il suo racconto è quanto meno preoccupante.
Sonia Alfano visitò una prima volta Bernardo Provenzano il 25 maggio 2012 ,trovando un uomo in piena salute ,disponibile al colloquio e alla possibilità di iniziare ad aprirsi su ciò di cui è a conoscenza. << E’ fattibile?>> così rispose il vecchio boss di Cosa Nostra alla domanda di Sonia Alfano sul perché non iniziasse a collaborare con i magistrati. Quel primo colloquio si chiuse con la promessa di Provenzano che ne avrebbe parlato con i figli e che avrebbe dato una risposta più avanti. Sonia Alfano tornò nel carcere da Provenzano il 3 luglio dello stesso anno. Doveva essere una visita a sorpresa ma l’amministrazione penitenziaria l’ aspettava. La direttrice del carcere volle entrare con lei nella cella del boss Provenzano . Le sue condizioni di salute non erano le stesse del maggio precedente, presentava lividi sul volto e dei punti sul sopracciglio. Alla domanda su cosa si fosse fatto, rispose l’agente che si trattava di una caduta dal letto. Provenzano fu reticente, lamentandosi del fatto che in quella cella fossero in troppi. Poi Sonia Alfano gli rivolse allora in dialetto siciliano la domanda << le hanno dato dei punti? >> indicando il sopracciglio. Questa volta intervenne la direttrice, che si trovava alle sue spalle , dicendo che nessuno gli aveva dato dei pugni. Evidentemente non aveva capito il termine in dialetto ma si è sentita in dovere di rispondere così. Provenzano ha dovuto pagare per aver dimostrato segnali di apertura? E’ stato messo a tacere? L’impressione è questa. E la stessa cosa ricava la presidente CRIM in occasione di una delle visite a Giuseppe Graviano, nella quale lui affermò << per aver parlato con lei , ho pagato>>, con ciò riferendosi al fatto che nei mesi precedenti gli fosse stato impedito di farsi visitare da un medico, ricevere libri e farsi confessare .
Clima completamente diverso quello negli incontri con Totò Riina, nei quali questi ha potuto addirittura esprimere minacce di morte all’Alfano per le quali è stato rinviato a giudizio.
Per Sonia Alfano esiste dunque il protocollo “farfalla” che non è altro che un accordo tra il Dap e il Sisde per il monitoraggio dei detenuti per associazione mafiosa al fine che non collaborino con la giustizia.
Il suo intervento si è chiuso però con una nota positiva. Ha parlato del grande successo ottenuto lo scorso 22 ottobre, con l’approvazione quasi unanime da parte del Parlamento Europeo della risoluzione per la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione . I risultati principali: tutela dei commercianti che si ribellano al racket, confisca e riutilizzo dei beni dei mafiosi, istituzione e tutela del testimone di giustizia, abolizione del segreto bancario, previsione del reato di associazione mafiosa, black list delle imprese in mano ai mafiosi per le gare di appalto, incandidabilità e decadenza per i condannati in via definitiva per gravi reati, introduzione del reato di autoriciclaggio ( in quest’ultimo caso superando la legislazione italiana ). Facile capire come siano conquiste di non poco conto per la lotta alla criminalità organizzata che sempre più allarga i suoi traffici e si insedia oltre confine.

La parola è poi passata a Salvatore Borsellino : << le parole di Riina dal carcere non sono minacce ma offerte allo Stato>>. Totò Riina ,a seguito di alcuni lettere e pizzini arrivati alla procura di Palermo informando del pericolo in cui incorrevano i magistrati requirenti del processo sulla trattativa, è stato intercettato durante le ore d’aria nel carcere di Opera. In una di queste, riferendosi a un attentato a Di Matteo, Rina affermò : è tutto pronto , lo faremo in modo eclatante.

Dello stesso avviso è Marco Travaglio che spiega come queste non possano essere definite minacce ma piuttosto condanne a morte. Non è più adeguato, ha spiegato Travaglio, parlare di trattativa Stato – mafia. Non ci sono due parti nettamente distinte che siedono a un tavolo, dopo anni di guerra, per fare pace. Ci sono invece una serie di personaggi che stanno da entrambe la parti,” uomini cerniera ” che si vestono da uomini delle istituzioni e fanno gli interessi della mafia. Un esempio fra tutti Bruno Contrada, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma perché Riina teme così tanto che i magistrati di Palermo scoprano la verità sulle stragi del ‘ 92/ ’93?
Non di sicuro per paura della condanna dato che deve scontare già una serie di ergastoli. Ciò che teme, è che venga meno la sua figura di boss e stragista , che appaia una misera pedina mossa da poteri ancora più forti. Interesse diverso dunque dagli uomini delle istituzione che temono invece il venir meno della loro immagine intonsa. Riina ha capito che i magistrati di Palermo , grazie all’esperienza e alle conoscenze che hanno accumulato , sono gli unici capaci di capire la verità su quegli anni e dunque se lui è così preoccupato, è perchè la verità è un po’ più vicina di qualche anno fa – così ha chiuso Travaglio.

Per concludere, riprendo la domanda iniziale . Si può ancora avere speranza?
Salvatore Borsellino spiegando la sua esperienza, di come abbia trasformato la sua rabbia, riuscendo a parlare dopo undici anni di silenzio , con voce commossa e commovente ha urlato che lui ha speranza. Non perchè crede di poter vedere la fine in prima persona. Ha speranza perchè quando lui non avrà più la forza di parlare e gridare, è consapevole che ci saranno tanti altri a farlo al posto suo, tanti giovani che porteranno avanti la pretesa di giustizia e verità.

Queste parole hanno regalato a tutti noi il senso di ritrovarsi un sabato pomeriggio e fare il punto sulla lotta alla mafia , per continuare a cercare verità e a interrogarci sui lati più oscuri della storia del nostro Paese. Le sue parole di speranza hanno nutrito la nostra speranza. Non lasceremo il posto della nostra sete di giustizia alla rassegnazione. Continueremo sui passi di chi ha aperto la strada alla ricerca della verità. Questo il miglior modo per ricordare e portare avanti la memoria di Paolo Borsellino.

 

Sara Secondo

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