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Campagna Sbilanciamoci!

Le manifestazioni di queste settimane nelle scuole e nelle università, e lo sciopero generale del sindacato del 30 ottobre, rilanciano – come ricorda giustamente Paolo Hutter sul manifesto di domenica scorsa – “Un lungo sbilanciamoci sulla finanziaria nelle scuole e nell’università” – l’idea di una mobilitazione prolungata nei prossimi mesi e che Sbilanciamoci! vuole con convinzione sostenere. Si tratta di una questione che investe non semplicemente la questione delle risorse più o meno disponibili (che, come si sa, questo governo drammaticamente taglia) ma anche il ripensamento dell’organizzazione e del paradigma della diffusione dei saperi in questo paese, del loro rapporto con la cultura civica, la società e l’economia italiana. Questo, a maggior ragione di fronte ad una deriva che in questi anni ha piegato l’istruzione ad una logica tayloristica tutta centrata sul mercato, la “cultura dell’impresa”, la dimensione quantitativa più che su quella qualitativa: in sostanza una deriva neoliberista. Nella società e nell’economia della conoscenza, il sapere è stato ridotto a “fattore produttivo”, trasformando scuola e università in anticamere del mercato, riducendo così i dirigenti scolastici in manager e i docenti in dei capireparto.

In realtà il modello dell’istruzione, dei saperi e della ricerca che un paese si dà -come hanno ricordato l’Uds, l’Udu, Reds nel loro lavoro pluriennale dentro Sbilanciamoci! e anche nei loro contributi per il Rapporto sulla manovra finanziaria appena pubblicato (scaricabile anche da questo sito) – interroga fortemente il modello di sviluppo che un paese si vuole dare e che noi abbiamo indicato necessariamente sostenibile e di qualità. Una buona economia ha bisogno di un sistema dei saperi fortemente incentrato sulla diffusione del diritto all’accesso all’istruzione, sulla combinazione di inclinazioni generaliste e specialiste, su riferimenti organizzativi solidi e continue sperimentazioni, su un buon impianto teorico e adeguate buone pratiche: tutto questo viene scambiato – dai fautori di una piegatura economicista della scuola e dell’università – con una esigenza di inaccettabile isomorfismo con il modello dell’impresa e con il mito del mercato, i cui fallimenti sono sotto gli occhi di tutti. E’ invece proprio un sistema dei saperi incentrato sull’autonomia della ricerca, dei percorsi curriculari e su una propria identità organizzativa a fare della scuola e dell’università il nocciolo di un capitale umano e sociale che tanto è migliore, quanto profondamente incentrato sulla crescita sociale, culturale e civile di una comunità. Esigenza che in passato imprenditori ormai in via di estinzione, e di ben altra razza rispetto a quelli attuali – come Adriano Olivetti – avevano ben compreso.

E’ questo il senso delle mobilitazioni di questi giorni, al di là della sacrosanta protesta contro dei tagli che pregiudicano il normale funzionamento della scuola e dell’università. Tra l’altro in Italia, si spende già assai poco e assai male, e molti fondamentali servizi e diritti (dalle borse di studio agli alloggi, dalla messa in sicurezza degli edifici al rispetto dell’obbligo scolastico, ecc.) non vengono erogati e forniti: questi tagli li renderanno ancora di più inesigibili. Queste forti riduzioni di spesa torneranno a rendere “classista” il sistema dell’istruzione: chi ha maggiori risorse economiche potrà avere maggiori opportunità nel sistema della formazione, dalle elementari fino all’università. Declassare il sistema pubblico per aprire le porte a quello privato: questo è l’inevitabile sbocco delle politiche di Gelmini, Tremonti e Berlusconi.

Si tratta di sfide che interrogano tutti (ambientalisti, pacifisti, terzo settore, ecc.) e che – ha ragione Hutter – bisogna rilanciare in una prospettiva medio-lunga dove unire la qualità del discorso sul paradigma del sistema dei saperi – intorno al quale costruire una cultura diffusa nel paese – e la produzione di proposte concrete per cambiare indirizzo (aumentandola) alla spesa pubblica sull’istruzione. E’ quello che con Sbilanciamoci le organizzazioni studentesche come Uds, Reds e Udu hanno fatto in questi anni, spesso inascoltate da molti. Ma da qui bisogna ripartire perché è soprattutto sulla scuola e l’università che si costruisce “un’Italia capace di futuro”.

Giulio Marcon

La fonte

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