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CAMORRA, GOMORRA, CRIMINE ORGANIZZATO: COME CAVOLO TI DOBBIAMO CHIAMARE?!

di Alessandro Cozzuto

Riflessioni sull’incontro dell’11 Febbraio organizzato da Unilibera, alla presenza delle giornaliste Alessandra Tommasino e Tina Cioffo e di Beppe Pagano. Articolo a « medio raggio » sulla funzione rappresentazionale dei termini « camorra » e « gomorra » nella cronaca e nei commenti relativi al crimine organizzato campano.

Ci si aspetta da un nome l’identificazione di un oggetto, qualcosa che ha esistenza corporea, autonoma e possibilmente un’insindacabile funzione, così come « poltrona » definisce un pezzo d’arredamento su cui potersi sedere.

Ci si aspetterebbe che un nome assolva lo stesso compito, per quel che riguarda fenomeni, nel senso di manifestazioni reali, riguardino essi la politica, l’economia, la società, così come « democrazia parlamentare » definisce una forma di governo o « narcisismo » il guardarsi troppo allo specchio. E, invece, a volte, succede che sia proprio l’adozione di un nome a precludere la comprensione del fenomeno considerato, perché la rappresentazione è per definizione qualcosa di diverso da ciò che essa rappresenta.

Il rischio concreto, cioè, è quello di accontentarsi della rappresentazione di un fenomeno e non badare più ad esso, (s)oggetto concreto: l’effetto collaterale è quello di tenere la culla e buttare via il bambino.


Rappresentazione, tragedia, farsa

La rappresentazione assolve a una funzione precisa e importantissima che la distingue dalle banali generalizzazioni: mentre quest’ultime sono un alibi, una scusa per non fare (« non pago le tasse perché tanto nessuno le paga »), le rappresentazioni al contrario spingono esattamente verso l’azione, verso il fare: ogni cittadino impara, mediante il processo di socializzazione, il complesso di norme e disposizioni che la società ha fatto proprie e che egli deve rispettare se non vuole essere dalla società escluso, bollato come pazzo, deviato, criminale.

E’ un’insieme concettualmente elaborato di rappresentazioni che, di fronte all’infittirsi della Modernità, porta alla nascita delle ideologie, delle cosiddette « visioni del mondo » (Weltanschauung, dice la filosofia tedesca), istruzioni pratiche per l’uso della società da parte di tutti gli esseri viventi, liberi e uguali in quanto nati uomini: le cose stanno così, il bene sta da questa parte, il male da quest’altra, se quell’uomo ha la maglietta di questo colore, sostienilo, se ce l’ha di quest’altra sparagli Piero, sparagli ora.

Le ragioni di questa premessa concettuale[1] sono il fissare alcuni punti nodali critici tali da consentire un’analisi di medio raggio[2] su un tema così delicato come quello del crimine organizzato campano. Un fenomeno le cui spiegazioni sembrano, a volte, più mirate a limitarne la comprensione che a favorirla.

Camorra è un termine di uso tanto comune, quanto viziato da una certa mancanza di aderenza al reale. Camorra è un termine che forse la maggior parte dei campani ha imparato per la prima volta da qualche forestiero, tant’è vero che la sua etimologia è ancora parecchio incerta. Quel che è certo è che i membri di questa organizzazione non si definiscono camorristi e che, a parte forse su Facebook[3], non esiste alcuna associazione regolarmente registrata con questa sigla.

Ne « Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte » Marx scriveva che la storia si ripete due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa[4].

Camorra è la tragedia, Gomorra la farsa. Vediamo di spiegare il perché di questa impressione.

Uno studio semantico a corto raggio di comunicazione politica

Se prendiamo il caso della carta stampata nostrana, un esempio eccellente di riduzione della complessità, ottenuta tramite rappresentazione formale dei fatti reali, è senz’altro quella operata dai titoli che spadroneggiano in grassetto in cima alle pagine dei nostri giornali.

Ogni caporedattore ha ben chiaro un fatto: la gente compra sempre meno giornali[5], quelli che li comprano non hanno il tempo di leggerseli interamente, ergo la loro attenzione deve essere da subito attirata, in modo che le poche parole contenute dal titolo diano loro immediata idea del tema affrontato nell’articolo.

Il problema sorge, però, quando l’informazione di una nazione si limita al sensazionalismo della formula azzeccata: non sembra importare, infatti, che alla fine l’articolo sia letto o meno, quel che conta è la disposizione pratica all’agire, la sensazione (l’illusione) da parte del lettore di essere informato.

Sul sito Internet della Camera (http://rassegna.camera.it) è possibile accedere a un’ampia rassegna stampa di tutti i maggiori quotidiani nazionali. E’ anche possibile compiere ricerche sulle edizioni passate, dal 1998 ad oggi.

Avendo a disposizione questo mezzo e chiedendomi quale sia stato il significato e l’impatto reale di Gomorra (libro e film) sulla realtà sociale che si proponeva di indagare e divulgare (ossia il crimine organizzato campano), ho deciso di verificare la frequenza e il tipo di utilizzo dei due termini sui titoli della stampa nazionale negli ultimi anni (per la nota metodologica vedi versione extended dell’articolo).

Sono emersi i seguenti dati, riassunti in tabella:

Anno

2000

01

02

03

04

05

06

07

08

09*

Gomorra

/

/

/

/

/

/

11

(3)

15

(9)

128

(63)

45

(16)

Camorra

47

25

43

32

107

93

110

75

260

18

Tab. 1 Frequenza annuale dei termini nei titoli degli articoli (selezione) pubblicati da quotidiani e periodici nazionali.

Fonte: rassegna.camera.it, rassegna stampa quotidiana a cura del sito della Camera.

Una prima analisi descrittiva

Come si evince abbastanza chiaramente dalla tabella, il tema « camorra » ha conquistato negli ultimi anni via via maggiore attenzione da parte della stampa italiana, per quanto una crescita non lineare (vedi 2003 rispetto a 2000 o 2007 rispetto a 2006).

Dopo un picco toccato tra fine 2004 e inizio 2005, in corrispondenza di faide interne all’organizzazione che hanno procurato diversi morti (purtroppo non solo tra gli affiliati), la frequenza dell’utilizzo del termine camorra nei titoli dei quotidiani nazionali selezionati non aumenta in maniera significativa, anzi decresce. Fino al 2008, quando il termine raggiunge il massimo storico (per il 2009 i dati sono ovviamente parziali).

Per quanto riguarda Gomorra.

Il libro di Roberto Saviano esce nel 2006. Attira un numero limitato di articoli (per lo meno nella selezione della Camera) nel 2006 e nel 2007. Nel 2008 il picco: 128 articoli e trafiletti contenenti la parola Gomorra nel titolo.

Eppure la stragrande maggioranza di essi datano sì 2008, ma il 95% del totale (117 su 123) a partire da Maggio 2008, quando cioè si svolge il 61° festival di Cannes e il film di Matteo Garrone, tratto dal romanzo, viene distribuito con grande successo nelle sale del Paese.

E’ banale aggiungere che, nella società dell’informazione e della ipercomunicazione iconografica, la forza espressiva delle immagini abbia per forza molto più peso della parola scritta. E’ altrettanto banale aggiungere che il cinema, per definizione. è la forza di immagini in movimento. E’ la sua funzione, studiata apposta per suscitare l’empatia del pubblico, a seconda dell’abilità con cui la fabbrica dei sogni è in grado di tessere un sapiente e fitto intreccio di realtà, rappresentazione e finzione: si pensi a The Truman show (Peter Weir, 1998), rappresentazione scenica di una vita fittizia, quella di Truman/Carrey, o a The Matrix (Wachowsky Bros, 1999), rappresentazione virtuale di una vita fittizia, quella dell’intero genero umano di un futuro imprecisato.

A poco a poco, però, il sistema mediatico, ormai avezzi i suoi lettori al termine « gomorra », comincia a fare un uso dello stesso, nei suoi titoli, non più rivolto eslusivamente a identificare il libro di Saviano o il film di Garrone.

Progressivamente e senza avviso, infatti, il termine viene usato per indicare genericamente le organizzazioni criminali, campane e non: « Sconfiggere Gomorra » (L’Unità, 2 Novembre 2006), « Casalesi, operazione Gomorra » (Espresso, 16 Agosto 2007), « La gomorra cinese di Milano » (La Stampa, 2 Dicembre 2007), « Gomorra pallonara » (Il Giornale, 1 Agosto 2008), « Ora a Napoli va spazzata via la Gomorra del centrosinistra » (Tempo, 4 Settembre 2008), « Credenti uniti contro Gomorra » (Avvenire, 21 Ottobre 2008).

Ma la parola viene usata anche in riferimento a un non meglio specificato luogo in cui si immagina siano ambientati il racconto di Saviano e le immagini di Garrone « Ministri, andate a Gomorra » (Europa, 20 Maggio 2008), « Saviano torna a Gomorra » (Repubblica, ed. Napoli, 16 Settembre 2007), « Africa e Gomorra » (Riformista, 20 Settembre 2008), « Lo Stato invia 400 agenti nel ghetto di Gomorra » (Corriere della sera, 21 Settembre 2008), « L’Italia è una gomorra » (Libero, 25 Settembre 2008), « Così lo Stato è tornato a Gomorra » (Secolo d’Italia, 1 Ottobre 2008), « L’acqua è contaminata, la Nato via da Gomorra » (Corriere della sera, 14 Novembre 2008),

In totale, tra i 117 articoli contenenti il termine Gomorra, pubblicati da Maggio al 31 Dicembre 2008, in ben 63 (53% del totale) la parola è utilizzata non in riferimento al libro o al film, bensì in riferimento al fenomeno che libro e film volevano rappresentare, ossia utilizzata in sostituzione del termine più tradizionale di Camorra. In 28 casi, invece, si fa riferimento al film o al libro, per parlare, non di cinema né di letteratura, bensì della camorra (« Quale Gomorra? Qui non siamo tutti delinquenti », Stampa, 13 Maggio 2008; « Le scene di Gomorra? Sono la nostra vita », Stampa, 20 Maggio 2008; « Napolitano: io, Saviano e Gomorra », Mattino, 30 Maggio 2008; « E’ una guerra. Dopo Gomorra il clima è cambiato », Mattino, 2 Giugno 2008; « Rifiuti tossici come in Gomorra », Corriere della Sera, 16 Novembre 2008).

Per il 2009, le proiezioni ricavate dagli articoli pubblicati dal 1 Gennaio al 23 Febbraio 2009 confermano questa tendenza: su 45 articoli con « Gomorra » nel titolo, 16 si riferiscono al crimine organizzato, in sostituzione cioè del tradizionale « Camorra » (36%). Un dato che appare al di sotto del 53% dell’anno trascorso ma per delle ragioni precise, il « caso-Cannavaro » (13%) e, soprattutto, la notizia della bocciatura del film di Garrone per la corsa agli Oscar a metà Gennaio (37%), contemporanea alla cattura del boss Peppe Setola, che per via del ferimento dell’orgoglio cinematografico nazionale passa leggermente inosservata (solo 2 articoli per Setola, nella rassegna stampa della Camera).

Se, in conclusione, conteggiamo globalmente i titoli dedicati direttamente al crimine organizzato campano[6] dall’uscita del libro di Saviano (121 nel 2006, 90 nel 2007, 323 nel 2008, 34 finora nel 2009), l’uso di gomorra quale equivalente di camorra è passato dal 2,5% al 10%, al 19,5%, al 47% in questo inizio 2009: è possibile che ogni tragedia, per quanto tragica, non possa sottrarsi a un restyling di marketing e comunicazione che lo trasformi in farsa?

Il sonno del giornalismo italiano contemporaneo genera mostri

Ma il meglio in assoluto di questa ambiziosa analisi semantica sono i paragoni arditi, i sottili e potenti accostamenti tra realtà e finzione che la retorica nazionale di carta è stata in grado di regalarci in questi ultimi mesi. Per esempio il riferimento alla città simbolo del crimine fumettistico, quella di Batman: « Lo Stato c’è e colpisce duro: retata di killer a Gomorra-city » (Secolo d’Italia, 1 Ottobre 2008) o « Maxiblitz e check-point: tempi duri a Gomorra-city » (Riformista, 1 Ottobre 2008), guarda caso pubblicati lo stesso giorno – dunque è improbabile che una testata abbia copiato l’altra.

L’aspetto terribile del fenomeno, però, non sta tanto nel fatto che l’uso folkloristico del termine riguardi tutti i giornali, a prescindere dal loro colore politico o dal target intelletuale dei lettori. La cosa sconvolgente è che, mentre i direttori dei giornali si sbizzarivano nella trasmutazione semantica del vocabolo « gomorra », non è possibile trovare, nell’estesissimo archivio del sito della Camera, un solo titolo di giornale che rechi il termine « Spartacus », riferito a uno dei più grandi processi, nella storia di questo Paese, intentati al crimine organizzato dallo Stato italiano: se nessuno dei (pochi) articoli dedicati al processo recava il nome nel titolo, come stupirsi che esso sia passato in appello nel massimo silenzio dell’opinione pubblica nazionale?

Un bisogno di studio matto e disperatissimo..

L’immagine acquista forza a mano a mano che perde significato e assume un’espressività inespressiva, come uno slogan pubblicitario, che colpisce senza dire nulla.

Gli ospiti del 12 Febbraio ricordavano come troppo spesso si confonda l’organizzazione criminale militaresca di Napoli con l’organizzazione criminale imprenditoriale di Casal di Principe. La realtà è più complessa di ogni tentativo di comunicarla: se non la possiamo vivere (fortuna nostra), possiamo cercare di studiarla, possiamo almeno guardarci dalle facili semplificazioni e criticarle quando qualcuno cerca di rivendercele per buone.

Si parla del crimine organizzato ma non si studia: i professori esperti in materia sono pochi e isolati, le cattedre universitarie dedicate al tema ancora meno.

Il crimine organizzato campano si sta trasformando, sta diventando qualcos’altro, supera i confini, diventa rete, stringe imprevedibili alleanze, abbatte il costo del lavoro e della circolazione delle merci illecite, rende competitiva l’economia sommergendola, sottraendola alla tutela giuslavorista, sacrificandone il paesaggio naturale e umano. Ma soprattutto si ricicla, si pulisce la faccia, investe nel legale e quando è sul confine passa veloce ora a favore ora contro la legge, a seconda dell’interesse e delle protezioni che si guadagna sulla nostra pelle.

Gomorra è Napoli, checché ne dicano[7], noi del nord non siamo portati a pensare che Napoli siamo noi, Napoli è Napoli, noi non siamo Napoli, di conseguenza noi non siamo Gomorra: non siamo Gomorra, perché Gomorra è un libro, un film, e noi non siamo né un libro né un film. Eppure assomigliamo ogni giorno di più a ciò che Gomorra rappresenta.

Ma finché penseremo al crimine organizzato, o alla Camorra, o a Gomorra, o come cavolo vogliamo chiamarlo (chiamarLE), come a una buffa rappresentazione, a la farsa, tanto distante dalla realtà, quanto a noi aliena, più questa tragedia si alimenterà (ancor più) di silenzio, disinformazione e ignoranza, guastando il poco che ancora di buono resta nel nostro vecchio e stanco Paese.

Se davvero la funzione di una rappresentazione è fingere una realtà, per impedire che essa sia vissuta e, se necessario, combattuta, allora l’antidoto è lo stesso, a Casal di Principe come a Torino: restare il più possibile vivi.

E quando possibile, vivere.

« On croit mourir pour la Classe, on meurt pour les gens du Parti. On croit mourir pour la Patrie, on meurt pour les Industriels. On croit mourir pour la Liberté des Personnes, on meurt pour la Liberté des dividendes. On croit mourir pour le Proletariat, on meurt pour sa Bureaucratie. (…) On croit mais pourquoi croirait-on dans une ombre si épaisse? Croire, mourir?…quand il s’agit d’apprendre à vivre? »[8]








[1] Ma una lettura sicuramente più autorevole su questi ragionamenti è Marcuse, H., One dimensional man, London, Routledge & Kegan Paul Ltd, 1964, cap. 7, in particolare pp. 178-9 e 197-8.

[2] « Teorie di medio raggio » sono quelle che secondo il sociologo statunitense Robert Merton consentono di conciliare speculazione teorica e analisi empirica e di evitare l’eccessiva autoreferenzialità della prima e l’incapacità di riflettere su sé stessa della seconda.

[3] Cfr. Bolzoni, A., Riina su Facebook, indaga il pm, in repubblica.it del 7 Gennaio 2009, articolo disponibile all’indirizzo http://www.repubblica.it/2008/12/sezioni/tecnologia/facebook-capodanno/indaga-pm/indaga-pm.html.

[4] « Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. » in Marx, K., Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte (1885), Palermo, Ed. Riuniti, 1964, p. 43.

[5] Cfr. « Internazionale », Il giornale di domani, 6/12 Marzo 2009, numero 785, anno 16.

[6] Globalmente significa l’insieme degli articoli contenenti la parola « Camorra » o, riferita all’organizzazione criminale, « Gomorra ». Direttamente significa il non aver contato gli articoli che partendo dal libro di Saviano o dal film di Garrone finiscono poi col parlare anche di crimine organizzato.

[7] Bocca, G., Napoli siamo noi, Milano, Feltrinelli, 2006.

[8] François Perorux, La Coexistence pacifique, vol. III, p. 631 in Marcuse, H., One dimensional man (1964), London, Routledge & Kegan Paul Ltd, 1964pp. 206-7

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Chi volesse prendere visione di questo articolo nella sua interezza scriva a unilibera@gmail.com

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