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SIAMO DAVVERO UNA SOCIETÀ CIVILE?

Siamo davvero una società civile se un Testimone di Giustizia, deve arrivare a decidere di fare lo sciopero della fame e della sete? Vi riporto un documento che ha deciso di scrivere riguardo alle sue volontà.

DICHIARAZIONE DI VOLONTA’ o TESTAMENTO

Io sottoscritto, Giuseppe (Pino) Masciari, nato a Catanzaro il 5 febbraio 1959, residente a Serra San Bruno,
via Aldo Moro, ma di fatto domiciliato presso il Servizio Centrale di Protezione Roma, nel pieno delle mie
facoltà mentali, in totale libertà di scelta e allo scopo di salvaguardare la dignità della mia persona e della
mia famiglia, affermo solennemente con questo documento, che deve essere considerato una vera e propria
dichiarazione di volontà, il mio diritto di autodeterminazione a sospendere qualsiasi forma di alimentazione,
sia essa liquida che solida.
DICO BASTA! VOGLIO VIVERE PIENAMENTE O MORIRE!
La mia vita è stata condotta nel rispetto delle leggi e in funzione di questo ho chiesto il diritto di vedere
ottemperata la sentenza emessa dal T.A.R il 23 gennaio 2009. Sentenza che ho atteso per quattro lunghi
anni e che ha comportato un ulteriore accrescimento ai dodici anni di disagi e di isolamento patiti da me e
dalla mia famiglia.
Il competente Ministero dell’ Interno non ha provveduto a mettere in atto la sentenza nel rispetto della
COSTITUZIONE.
Per il riguardo loro dovuto, ho trasmesso gli atti della vicenda alle tre alte Cariche dello Stato – Presidente
della Repubblica, Presidente del Senato, Presidente della Camera – ponendoli quali garanti del mio diritto e
dai quali non ho ricevuto risposta alcuna.
Per tale ragione, scelgo l’atto estremo di porre fine all’ipocrisia che finge di tutelarmi uccidendomi
quotidianamente.
Nel caso in cui non avvenga la applicazione della sentenza, come da mio diritto, smetterò di alimentarmi.
Attuerò la mia volontà in tempi brevi.
Qualora subentrino condizioni di malore, conseguenti a tale mia scelta, ovvero nel caso in cui perda le
capacità di decidere e/o di comunicare, provvedo alla nomina di un fiduciario che si impegna a garantire lo
scrupoloso rispetto delle mie volontà.
FATTO
Voglio riaffermarlo con orgoglio: sono un imprenditore edile calabrese, divenuto testimone di giustizia. A
seguito delle mie denunce, rivelatesi decisive ai fini delle condanne penali inflitte ad esponenti di spicco
della ‘ndrangheta calabrese che mi avevano taglieggiato, dal 17 ottobre 1997 sono sottoposto a programma
speciale di protezione da parte della Commissione Centrale – ex art. 10 L. 82/91 – del Ministero dell’Interno.
Per questo motivo, io e la mia famiglia abbiamo dovuto abbandonare la Calabria in quanto ritenuti in “grave
e imminente pericolo di vita”. Abbiamo interrotto le nostre attività lavorative, io come imprenditore edile,
mia moglie come medico dentista. I miei due figli, che all’epoca avevano appena uno e due anni, sono
cresciuti nell’oscurità, educati a nascondersi, privati del supporto morale ed educativo delle famiglie di
appartenenza, perdendo così la spensieratezza propria della loro età.
La mia scelta di credere ed affidarmi alle Istituzioni del nostro paese ha significato in realtà la morte
civile mia e della mia famiglia.
Ho verificato come non sia praticata nella realtà dei fatti la tutela del diritto-dovere del cittadino che si
oppone alle vessazioni della criminalità organizzata e del malaffare. Le mie considerazioni sono state
oggettivamente riscontrate da organi dello Stato preposti quali Tribunali, Commissioni Parlamentari della
XIV e XV legislatura, sono state presentate Interpellanze, Interrogazioni parlamentari, ecc.. Le condizioni a
cui mi ha sottoposto il programma di protezione, quindi, sono state analizzate a fondo e sono stati confermati
i disagi e le vessazioni che ne sono derivati.
In particolare la relazione ufficiale della Commissione Parlamentare Antimafia della XV legislatura,
all’unanimità, approvava una relazione conclusiva nella quale si legge testualmente: “(…) Chi ha
rinunciato alla propria vita per lo Stato, viene dallo stesso Stato poi privato della dignità, del nome,
della terra di nascita e abbandonato al suo destino (se non alla mercé dei mafiosi …)”
Lo spaccato emerso appare evidenziare come i testimoni di giustizia siano i primi a sperimentare sulla
loro pelle quelle gravi cadute di efficienza del sistema, dovute spesso a inettitudine, trascuratezza e
irresponsabilità. (…) Occorre un mutamento di mentalità e di metodo, una diversa filosofia
nell’approccio alla figura del testimone di giustizia che va visto non come “un peso” ma come una
“risorsa”.
Ma quale risorsa può rappresentare, per la società civile, chi, come il testimone di giustizia, viene esiliato
dalla sua terra, tenuto nascosto e occultato? Quale incentivo si dà alla denuncia? Come può, lo Stato,
chiedere incondizionata fiducia al cittadino quando poi, in nome della protezione, tiene tale soggetto a
rischio nascosto agli occhi della società civile, “compresso nella sfera dei personali ed ordinari diritti di
libertà” e nella comprensione che “è rigettato l’assunto secondo il quale il testimone di giustizia è un
cittadino del tutto libero di autodeterminarsi, in grado di poter compiere scelte nell’esercizio esclusivo
del proprio libero arbitrio, mentre lo Stato ha il dovere assoluto di proteggerlo nella attuazione di tali
scelte, adeguandosi ad esse” (pagg. 11 e 13 dei documenti del Ministero depositati al T.A.R. Lazio in data 3
marzo 2009).
Il giorno 23 gennaio 2009 il T.A.R. del Lazio ha emesso una sentenza, ma ad oggi il sottoscritto Pino
Masciari, cittadino italiano, non ne vede l’attuazione . In questa si afferma e si sancisce che il principio della
tutela e della sicurezza che lo Stato assicura al cittadino “a rischio” non può essere considerata “a termine”.
Quindi, il principio della sicurezza non può essere utilizzato come merce di scambio o, ancor peggio,
assumere carattere ricattatorio a condizionare la libera determinazione dei cittadini che scelgono la strada
della Legalità.
In nome della salvaguardia del “bene supremo, costituito dalla vita umana”, si vorrebbe ora giustificare il
comportamento assunto dagli organi deputati al programma di protezione e imporre la morte civile di
persone quali i testimoni di giustizia. A loro si chiede di firmare il contratto che li obbliga a vivere
nascosti, come fossero loro i colpevoli, i rei.
Ma dov’era, mi chiedo, la salvaguardia del bene supremo della vita, quando venivo condotto ai processi nei
quali dovevo testimoniare con auto che palesavano la targa della località “segreta e protetta”? Dov’era la
salvaguardia quando i documenti di copertura non venivano rilasciati? Quando con il nulla osta dell’1/7/1998
del Servizio Centrale Protezione, già da subito, mia moglie era autorizzata a svolgere la propria attività
professionale con vere generalità, inducendo a svelare con la corretta emissione di fatture la località protetta?
Quando venivo autorizzato ad iscrivere i miei figli alle scuole con il loro vero cognome, già dall’agosto
1999, dunque da subito, svilendo i criteri della cosiddetta mimetizzazione? Etc ,etc.
Dov’era la Commissione Centrale del Ministero dell’Interno a “tutela del bene più prezioso costituito dalla
vita” quando, con delibera del 27 ottobre 2004 e della successiva dell’1 febbraio 2005, decideva che “(…)
alla mancata accettazione da parte del Masciari della formale accettazione di tutte le voci della parte
dispositiva della medesima delibera (…) seguirà comunque la cessazione del programma speciale di
protezione (…)”?
Ho scelto di riprendere le sorti della mia vita e di dare volto e voce alla mia storia.
La mia è stata una scelta di auto-difesa, quella di affidare la tutela della mia persona all’altra componente
dello Stato, la SOCIETA’ CIVILE, che è intervenuta in soccorso della famiglia Masciari. Essa veglia sulla
mia famiglia e mi accompagna, diventando una difesa popolare non violenta.
Di fatto vengo invitato a convegni pubblici presso le scuole, nelle Università, nei Comuni, nelle
Associazioni, in adesione a progetti sul tema della Legalità e di formazione civile contro le Mafie, laddove la
richiesta della mia testimonianza assume il significato di un valore civile e morale, di rispetto del senso dello
Stato. Tanto che mi sono stati conferiti riconoscimenti e cittadinanze onorarie, prima fra tutte quella di
Torino.
La cosa che maggiormente mi addolora è che non sia mai stata considerata ,da parte delle Istituzioni, la
necessità vitale di un essere umano, un cittadino, di intessere quei rapporti di socialità e fiducia che gli
permettono di considerare la propria vita qualcosa di diverso dalla mera sopravvivenza. I miei figli sono
cresciuti nel dolore, nella solitudine, nel buio, nella paura. Nessun contratto lo aveva sancito.
PER QUESTI MOTIVI
Considero lesive della mia dignità di persona tutte le situazioni in cui continuo ad essere privato della
sicurezza, della libertà di movimento, lavorativa e di relazione sociale, mia e della mia famiglia.
Considero non dignitoso il mero prolungamento della vita vegetativa cui mi ha destinato lo Stato da ben 12
anni, che estenua sino all’estremo un cittadino che ha inteso solo perseguire il dettato delle leggi nel rispetto
delle Istituzioni.
Non posso più tollerare la sofferenza arrecata a mia moglie e ai miei due bambini che, in tali condizioni,
vedono preclusa ogni speranza di vita futura.
Ho consegnato con fiducia incondizionata le sorti della vita, mia e della mia famiglia, allo Stato. Le
Istituzioni mi stanno lasciando morire lentamente ogni giorno. La mia non è vita e io voglio vivere
pienamente. Se ciò non è possibile, meglio morire con dignità per difendere il diritto alla libertà che
arricchisce il senso della vita di un uomo.
Li, __________________
firmato Giuseppe Masciari
Disposizioni particolari
Voglio l’assistenza religiosa, non voglio essere cremato. Voglio un funerale in forma strettamente privata. Il
mio corpo non può essere utilizzato per scopi scientifici. Non voglio che il mio nome venga strumentalmente
e indebitamente utilizzato da chi da vivo non mi è stato accanto. Nomino mia moglie, Marisa Salerno, e
simbolicamente gli amici di Pino Masciari a tutela di quanto esposto.

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