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GIORNALISTI ED EDITORI FRONTE COMUNE CONTRO DDL INTERCETTAZIONI

Articolo tratto da Liberainformazione

Roma, 12.06.2009 | di Roberto Natale*

L’editoriale

Roberto Natale Roberto Natale

E’ impressionante l’elenco delle vicende delle quali non potremo più scrivere, parlare e sapere per tempo, se diventerà legge il testo votato dalla Camera. Crack Parmalat, scalate bancarie, clinica Santa Rita, scandali del calcio: solo per citare i titoli più importanti, e per smentire la gigantesca mistificazione che il governo ha dovuto mettere in atto per arrivare all’approvazione del disegno di legge Alfano. Vogliono far intendere che finalmente verrà tutelata meglio la riservatezza degli individui, che oggi sarebbe messa a rischio da giornalisti irresistibilmente portati a spiare dal buco della serratura nelle camere da letto. Ma le storie che non potremo più raccontare sono storie pubbliche, altro che pettegolezzi privati: tanto pubbliche e rilevanti che, ad esempio, la clinica Santa Rita è stata costretta a cambiar nome dopo che la vergogna dei trapianti eseguiti solo per far soldi era diventata scandalo collettivo grazie alla pubblicazione delle intercettazioni.
C’è una prova di quanto strumentale sia l’invocazione della privacy: è stata rigettata dalla maggioranza la proposta – appoggiata anche da sindacato e Ordine dei giornalisti – di una “udienza filtro” in cui accusa e difesa si accordano per escludere dalle intercettazioni le parti che riguardino vicende solo private e persone estranee alle indagini. Su quelle è bene che rimanga il segreto. Ma perché tutti gli altri testi – una volta che siano noti alle parti – non possono essere oggetto del lavoro dei giornalisti? Invece potremo dare notizia degli atti dell’inchiesta “solo per riassunto” (illogico e ridicolo: chi decide quanto debba essere stringata la sintesi?). Delle intercettazioni, invece, nessuna pubblicazione fino al processo. Se si sgarra, carcere per i giornalisti fino a tre anni e multe per gli editori fino a mezzo milione di euro. E’ l’evidente ritorsione per trascrizioni di conversazioni che hanno creato forti imbarazzi all’attuale Presidente del Consiglio, e non solo. Devono pagarla i giornalisti, e devono pagarla i magistrati. E’ stato lo stesso Berlusconi, del resto, a ripetere qualche giorno come la pensi sulle due categorie: “se vuoi fare del male fai il pm, il delinquente o il giornalista”.

Ma non è affatto sicuro che questa vendetta, nonostante i numeri parlamentari, possa essere consumata. Giornalisti ed editori stanno facendo fronte comune. Se necessario – e sarà necessario – l’informazione italiana ricorrerà allo sciopero come fece due anni fa contro il ddl Mastella, che era appena meno pericoloso. Faremo ricorso alla Corte europea di Strasburgo; stanno fiorendo proposte di disobbedienza civile; si potrà tentare la strada della Corte Costituzionale. E soprattutto c’è una protesta che sta coinvolgendo i cittadini: ai quali risulta via via più chiaro che il bavaglio a noi giornalisti è soprattutto un gigantesco sequestro di conoscenza per loro. La partita è aperta, e possiamo giocarcela con tutta la forza che si ha quando si sta dalla parte dell’interesse di tutti. Non è davvero una battaglia di corporazione.

* Presidente Federazione nazionale stampa italiana


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