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NEL '92 LA NOSTRA DEMOCRAZIA FU IN PERICOLO

Roma, 30.06.2010 | di Norma Ferrara

Commissione antimafia: relazione sul biennio stragista

Nel ’92 la nostra democrazia fu in pericolo

Pisanu: fra mafia e Stato qualcosa di simile ad una trattativa

Palazzo San MacutoPalazzo San Macuto

“Un groviglio tra mafia, politica, grandi affari, gruppi eversivi e pezzi deviati dello Stato” dietro le stragi del 1992 – ’93. Così Beppe Pisanu, presidente della Commissione parlamentare antimafia, durante la relazione introduttiva dei lavori sulla stagione stragista. “La relazione è solo un’apertura – sottolinea Pisanu – dei lavori della Commissione, che da oggi acquisirà documenti, darà inizio alle audizioni che ci porteranno ad analizzare (senza interferire con l’attività giudiziaria) il periodo delle stragi sul quale è necessario fare chiarezza, a livello giudiziario, politico e storico”.  Tre verità, quelle citate da Pisanu, che in molti hanno rallentato, insabbiato o ingnorato. In questi 18 anni  c’è stata soprattutto poca chiarezza sui mandanti esterni delle stragi, sui protagonisti occulti di quella stagione in cui Cosa nostra alzò il tiro dritto al cuore dello Stato. E’ una relazione introduttiva ai lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia quella presentata oggi a Palazzo San Macuto, ma fa già notizia e occupa le prime pagine dei quotidiani on line.  Non ci sono rivelazioni inedite dentro le 32 pagine che rappresentano il testo dell’intervento di Pisanu, ma un’analisi sintetica che mette in fila diversi elementi, quasi a fissare i punti di lavoro da cui partire.

Le trattative fra Stato e mafia

A poche ore dalla sentenza che condanna il co-fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa (vent’anni di rapporti con la mafia, accertati solo sino al 1992) e della richiesta di 10 anni dei pm palermitani per il senatore Totò Cuffaro, anche lui per concorso esterno in associazione mafiosa (per i fatti commessi da presidente della Regione Siciliana) si torna a parlare di mafia e politica nella relazione di Pisanu, attraverso una ricostruzione dei fatti, che dal fallito attentato dell’Addaura, passa attraverso delitti “eccellenti” come quello dell’onorevole Salvo Lima, e arriva alle stragi di Capaci, via D’Amelio e del 1993, nel resto del Paese.«È ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa Nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica – dichiara Pisanu. Questa attitudine a entrare in combinazioni diverse è nella storia della mafia e, soprattutto è nella natura stessa della borghesia mafiosa».  Il presidente indivua inoltre due livelli/fasi, della trattativa fra “brandelli” dello Stato, così li definisce, e la mafia: quella tra Mori e Ciancimino «che forse fu la deviazione di un’audace attività investigativa» e quella tra Bellini-Gioè-Brusca-Riina, dalla quale nacque l’idea di aggredire il patrimonio artistico dello Stato». Si trattò dunque, secondo Pisanu, di «qualcosa di simile ad una trattativa» accompagnata da «inaudite ostentazioni di forza messe in campo da Cosa nostra» . Quando parla di entità esterne, Pisanu, si sofferma sulle notizie ormai note che riguardano il ruolo svolto da alcuni uomini dei Servizi di sicurezza. Nel suo intervento, cita in particolare, il dottor Lorenzo Naracci, in merito alle indagini su via d’Amelio. «Naracci – sottolinea Pisanu – a quanto pare è indagato a Caltanissetta; il pentito Gaspare Spatuzza lo ha vagamente riconosciuto in fotografia come persona esterna a Cosa Nostra; mentre Massimo Ciancimino, testimone piuttosto discusso, lo ha indicato come accompagnatore del misterioso signor Franco o Carlo» che secondo il figlio dell’ex sindaco di Palermo avrebbe seguito Vito Ciancimino nel corso della «cosiddetta “trattativa” tra Stato e “Cosa Nostra”». In particolare, Pisanu, ricorda un documento che nel 1993 fu diramato dalla Dia, in cui veniva descritta l’esistenza di una struttura di tipo “orizzontale” in cui rientravano, oltre alla mafia, talune logge massoniche di Palermo e Trapani, gruppi eversivi di destra, funzionari eversivi dello Stato e amministratori corrotti».

La contropartita, il 41 bis

Una lunga parte dell’intervento di Pisanu è dedicata ad una ricostruzione puntuale delle date in cui i fatti si svolsero, cercando un parallelo tra alcuni provvedimenti presi dai governi dell’epoca e le richieste, che negli stessi mesi, arrivavano, sotteranee, dagli ambienti mafiosi. Una di queste è la revoca del 41 bis per mafiosi di alto rango e l’alleggerimento del carcere duro per i boss di Cosa nostra. «E’ del tutto evidente – prosegue Pisanu – come hanno accertato magistrati e “l’incerta copia del misterioso papello” – che l’obiettivo, il fine ultimo, delle stragi del ’92-’93 era quello di costringere lo Stato ad abolire il 41 bis e a ridimensionare tutte le attività di prevenzione e repressione. L’allora Ministro dell’Interno, Nicola Mancino, ha negato con forza che una trattativa ci sia stata e così anche altri protagonisti dell’epoca, ma Pisanu precisa che ci fu una strana coincidenza di date che si verifica a partire dal «maggio del 1993 tra le stragi sul territorio e la scadenza dei tre blocchi di 41 bis approvati l’anno prima». La stagione terribile delle stragi – secondo Pisanu – si concluse il 27 gennaio con l’arresto dei fratelli Graviano, l’ala stragista del 1993 e l’ascesa di quello che definisce “il moderato” Bernardo Provenzano che diede una nuova linea a Cosa nostra, quella del silenzio delle armi, e del proliferare degli affari, dunque del contatto con la politica e l’imprenditoria.  «Nel 1992 però – ricorda Pisanu – la nostra democrazia, come ricordato da Scalfaro  e Ciampi in due diverse occasioni, fu in grave pericolo».

Mafia e politica, ancora oggi le loro strade si incrociano

«Uccisi o minacciati di morte i suoi tradizionali referenti politici Cosa nostra  – secondo Pisanu – faceva fatica ad orientarsi e a costruire nuove alleanze in un contesto politico che, dopo la caduta del muro di Berlino, si stava ormai disgregando sotto i colpi di tangentopoli, e di quello delle stesse stragi». Dopo il fallito esperimento Sicilia Libera, il partito politico espressione diretta di Cosa nostra, Pisanu sostiene che «la mafia ha comunque curato i suoi interessi, affari, le sue relazioni, il potere, ma da allora ad oggi ha perduto tutti i suoi maggiori esponenti mentre parimenti è cresciuta un’opposizione sociale alla mafia che procede accanto alla magistratura e alle forze dell’ordine». Nel mettere al sicuro tutto quello che è a rischio, le mafie, secondo il presidente della Commissione antimafia, hanno tentato di stringere sempre più i rapporti con il potere locale, regionale, con le imprese sul territorio. E’ su questo versante che si riapre la sfida alla mafia, sul livello economico e internazionale delle mafie. Per quel che riguarda invece il biennio stragista 1992 -’93 i lavori della Commissione cominciano da oggi e come hanno sottolineato, in due diversi interventi, Beppe Lumia (Pd) e Fabio Granata (Pdl), si tratterà di un lavoro di inchiesta da esercitare con tutti i poteri che la Commissione antimafia ha nel suo statuto costitutivo e nella sua missione parlamentare.

fonte: http://www.liberainformazione.org/news.php?newsid=11517

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