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LEA GAROFALO, TESTIMONIANZE SCIOLTE NELL'ACIDO

Sono stati arrestati ieri i presunti assassini di Lea Garofalo.
La trentaseienne collaboratrice di giustizia scomparsa il 24 novembre 2009 è stata rapita in pieno centro a Milano, torturata, uccisa e infine sciolta nell’acido nei pressi di Monza, a San Fruttuoso precisamente. Questo è l’esito dell’indagine condotta dal Giudice per le indagini preliminari Giuseppe Gennari, corredato da sei ordinanze di custodia cautelare in carcere. I destinatari delle ordinanze sono Carlo Cosco, ex compagno della donna e padre della figlia Denise – oltre che noto esponente della criminalità organizzata calabrese – e Massimo Sabatino. I due si trovavano già in carcere – da febbraio 2010 – per un precedente tentativo di sequestro ai danni della Garofalo, avvenuto a maggio del 2009 a Campobasso. L’identità degli altri quattro da al fatto tinte inquietanti. Due sono i fratelli del Cosco, Giuseppe e Vito Cosco. Gli altri due sono carmine Venturino cugino del padre e Rosario Curcio fidanzato di Denise, accusato a differenza degli altri del solo reato di distruzione di cadavere. Una cosa in famiglia insomma.

La svolta decisiva nell’indagine è arrivata grazie al contributo del compagno di cella di Massimo Sabatino a San Vittore. Dopo alcuni colloqui col Gip di Milano, relativi alle confidenze del Sabatino, il collaboratore avrebbe convinto il magistrato a installare una cimice nella cella. Dalle registrazioni e dai racconti del pentito l’indagine ha avuto nuova spinta. La collaborazione infine tra le Procure antimafia di Campobasso, Milano e Catanzaro ha permesso di ricostruire l’intera vicenda.

Lea Garofalo era nata e vissuta all’interno dell’ambiente ‘ndranghetista. Il padre, capo di una cosca di Petilia Policastro (Kr) era stato ucciso in un agguato quando lei aveva solo pochi mesi, nel 1975. Nel 1995 anche il fratello Floriano aveva seguito la stessa sorte: freddato dalle pallottole della cosca rivale ai Garofalo, quella dei Mirabelli. Lea aveva deciso di rompere i suoi legami col clan e di crescere la figlia in un ambiente diverso da quello in cui era cresciuta lei. Disertare una vita sanguinosa.

Nel 2002 aveva cominciato a collaborare con la Dda di Catanzaro nelle indagini che miravano a sedare la faida tra i Mirabelli e i Garofalo, facendo alcune dichiarazioni ai danni di esponenti delle diverse cosche in lotta, spiegando i meccanismi di alcuni omicidi e del traffico di stupefacenti. Così facendo aveva anche dovuto denunciare il compagno Carlo Cosco, coinvolto nella faida e nel traffico di sostanze che aveva sbocco a Milano, dove l’uomo lavorava come buttafuori di una discoteca. In quanto testimone era stata aggregata al programma di protezione provvisorio, fino al 2006, quando ne era stata estromessa poiché i magistrati avevano giudicato le sue rivelazioni di scarsa rilevanza.

Se lo erano per i magistrati evidentemente non lo erano per gli ‘ndranghetisti e tantomeno per lei. Lea aveva impugnato la decisione di dismissione del servizio di protezione; aveva perso davanti al Tar, ma vinto in seconda istanza davanti al Consiglio di Stato. Il servizio era dunque continuato fino ad aprile del 2009 quando la stessa Garofalo aveva deciso di rinunciarvi.
Forse un calcolo fatto in maniera avventata, forse la delusione derivante dal trattamento dello Stato, sta di fatto che dopo appena un mese dalla rinuncia alla protezione, a maggio 2009, Lea Garofalo aveva subìto un primo tentativo di rapimento. Quello attuato dal Sabatino, con la copertura di Vito Cosco. Travestito da idraulico Massimo Sabatino si era introdotto in casa della testimone e fingendo un controllo all’impianto l’aveva aggredita. La donna, aiutata dalla figlia, era riuscita a respingerlo costringendolo alla fuga. Come detto sopra, nel febbraio 2010, per questo tentativo di rapimento sono stati arrestati Carlo Cosco, in veste di mandante e Massimo Sabatini in quella di “idraulico esecutore”. Quello che si è saputo solo grazie alla cimice nella cella del Sabatino è che fin dal primo tentativo Cosco aveva preparato furgone e acido per un piano già deciso.
Purtroppo le indagini sui movimenti del Cosco hanno avuto esiti in ordine di tempo seguenti al secondo tentativo.
A novembre madre e figlia si trovavano infatti a Milano, apposta per dirimere delle questioni famigliari con il padre della ragazza. La Garofalo aveva ormai scarsissime risorse economiche, come ha rivelato l’avvocato che assiste Libera, Enza Rando, al quotidiano La Stampa. Diceva Lea: “sono povera, non ho una lira… io che sono stata una collaboratrice dello Stato. Lui invece è ricco, sta costruendo un albergo a Madrid. Vado da lui a chiedergli i soldi per un biglietto per l’Australia per me e per Denise”, in una conversazione risalente al 20 novembre del 2009. Quattro giorni dopo, il 24 di quel mese Lea aveva accettato un appuntamento in pieno centro a Milano con il Cosco. Da lì si erano perse le sue tracce. A dare l’allarme della scomparsa era stata la figlia Denise, con la quale Lea aveva un appuntamento alla stazione di Milano per tornare in Calabria la sera stessa.

La ricostruzione della Procura di Milano spiega che la donna sarebbe salita quel pomeriggio sulla macchina dell’ex convivente padre di sua figlia. Caricata poi a forza su un furgone assieme a 50 litri di acido. Trasportata in un piazzale vicino alla terza uscita della Milano – Meda, dove i Cosco tengono i mezzi di movimento terra della loro ditta. Li interrogata, torturata e uccisa con un colpo solo. Il cadavere sarebbe poi stato trasportato fino al terreno in località San Fruttuoso e fatto scomparire in una vasca piena d’acido.
L’esecuzione è motivata secondo inquirenti e investigatori dalla volontà di vendicare la collaborazione con la giustizia e la precedente decisione di disaffiliazione dalla cosca. La distruzione del cadavere ha avuto lo scopo di “simulare la scomparsa volontaria” della collaboratrice e assicurare l’impunità degli autori materiali dell’esecuzione.

tratto da NARCOMAFIE

scritto da TONI CASTELLANO

il 19 OTTOBRE 2010

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