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Politkovskaja, i misteri di un processo-simbolo

RUSSIA. Colpi di scena in serie al processo per l’omicidio della giornalista. Gli avvocati: «Il mandante è un politico russo», mentre l’accusa parla di un killer rifugiato in occidente. La Procura ricusa il giudice perché ha ammesso la stampa in aula. Alla sbarra la credibilità del regime
Mandanti in Russia, killer all’estero. E giudice ricusato
I colpevoli? Per l’accusa stanno all’estero, «in un paese europeo». Per la difesa invece si tratta di «un uomo politico russo, tranquillamente residente in patria». Ma allora, gli imputati alla sbarra perché sono lì?
E’ davvero un processo ben strano quello in corso a Mosca per l’omicidio di Anna Politkovskaja: un processo in cui gli avvocati della vittima e quelli degli imputati agiscono all’unisono, la pubblica accusa chiede la ricusazione del giudice, le porte del tribunale si aprono e si chiudono alla stampa varie volte prima ancora dell’inizio del dibattimento. Un dibattimento che tutti sanno perfettamente inutile ai fini dell’accertamento della verità ma sul quale tutti puntano gli occhi facendone un test-chiave dello stato della giustizia e della democrazia in Russia.
Ci sono voluti due anni da quel 7 ottobre 2006, quando la giornalista critica del regime Anna Politkovskaja venne uccisa a rivoltellate nell’ascensore di casa sua, perché si arrivasse a un processo: e ora questo processo rischia di saltare – o di insabbiarsi in un groviglio di conflitti procedurali – prima ancora di iniziare sul serio. Del resto, gli unici imputati per ora sono due fratelli ceceni, Dzhabrail e Ibragim Makhmudov, e un ex poliziotto pure ceceno, Sergej Khadzhikurbanov, tutti e tre accusati di aver aiutato a organizzare l’omicidio, ma non di averlo materialmente eseguito né tantomeno commissionato. Con loro è imputato anche un funzionario del Fsb, Pavel Ryaguzov, accusato di reati «laterali» (estorsione, corruzione e simili), che avrebbe procurato agli altri l’indirizzo della vittima. La Procura «sospetta» come autore materiale dell’omicidio – ma non lo ha formalmente incriminato – un terzo fratello Makhmudov, Rustam, latitante: secondo il capo del Comitato investigativo della Procura, Aleksandr Bastrykin, in un paese occidentale (tempo fa si parlò del Belgio) cui peraltro nessuno ha avanzato richieste di arresto ed estradizione.
Quanto ai mandanti dell’omicidio, nebbia fitta: per mesi il Procuratore generale Yurij Chaika ha sostenuto che si trattava di personaggi «importanti e orribili, residenti all’estero», facendo chiara allusione all’oligarca Boris Berezovskij, che vive a Londra e da molti anni è la «bestia nera» di Vladimir Putin. Ma anche contro di lui non è stato emesso alcun mandato internazionale d’arresto per questo delitto (ce ne sono altri, per truffa ed evasione fiscale, che certamente non porteranno alla sua estradizione dalla Gran Bretagna).
Al contrario – come hanno rivelato ieri gli avvocati difensori dei quattro imputati e, in simultanea, quelli della famiglia di Anna Politkovskaja – nelle carte processuali si fa esplicito riferimento come mandante a «un uomo politico russo, non particolarmente importante o orribile, che vive in patria». Chi è? Mistero – anche se fin dal giorno del delitto molti occhi si puntarono (senza accuse esplicite, naturalmente) sul giovane presidente ceceno Ramzan Kadyrov e sul suo entourage di fedelissimi, che Anna Politkovskaja aveva accusato di molteplici delitti e contro il quale avrebbe dovuto testimoniare poco più tardi, in un delicato processo per omicidio. Del resto, di persone che avevano motivi di rancore verso la vittima per i suoi articoli di denuncia ce n’erano a volontà, compreso lo stesso Procuratore generale Chaika, molti alti ufficiali delle forze armate, diversi magistrati, alcuni «imprenditori» legati alla mafia. Per non parlare naturalmente dell’allora presidente Vladimir Putin, più volte preso di mira da Anna.
Se davvero al processo emergesse un’accusa contro Kadyrov, comunque, anche la posizione di Putin, da sempre suo protettore, sarebbe fortemente compromessa: per questo alcuni pensano che intorno a questo strano processo stiano giocandosi oscure battaglie di potere al vertice del paese.
La vicenda processuale, a partire dalle indagini della Procura, è davvero stravagante. Ha cominciato proprio il Procuratore Chaika, nel giugno di quest’anno, rendendo pubblici i nomi di una decina di sospetti prima che venissero arrestati – favorendo così la fuga di alcuni di loro, tra cui il citato Rustam Makhmudov, presunto killer. Più tardi alcuni degli arrestati sono stati liberati perché «estranei ai fatti» (tra questi, un paio di funzionari dei servizi segreti) e alla fine sono rimasti solo gli imputati attuali. La presenza tra questi, con imputazioni trascurabili, di un funzionario del Fsb, ha fatto sì che il processo abbia dovuto svolgersi davanti a un tribunale militare invece che civile; non solo, ma ha dato alla Procura l’argomento per chiedere la ricusazione del giudice Evgenij Zubov dopo che questi aveva deciso di riaprire il dibattimento alla presenza della stampa.
Questo delle porte aperte o chiuse è diventato infatti il nodo vero intorno a cui si è giocato l’inizio del processo – e la sua valutazione politica. Dopo una partenza a porte chiuse, il giudice Zubov accoglieva nella prima seduta la richiesta di tutti gli avvocati (degli imputati e dei famigliari della vittima) di celebrarlo invece a porte aperte. Ma già il giorno dopo tornava sulla sua decisione, motivandola con la richiesta da parte dei giurati di non avere la stampa in aula. Uno dei giurati però rivelava poco dopo che da parte della giuria non era venuta nessuna richiesta in tal senso: al contrario, una sollecitazione a chiedere la segretezza, venuta dalla Procura, era caduta nel vuoto e nessuno l’aveva firmata.
Ieri, nel corso di una seduta caotica, nuovo colpo di scena: il giudice Zubov «riapre» le porte del dibattimento alla stampa e ordina un’inchiesta su quel che realmente vogliono i giurati; salvo subire poi una richiesta di ricusazione da parte della pubblica accusa per il fatto di avere «un’aperta prevenzione» – non si dice a che proposito. Il processo è stato quindi sospeso, in attesa di una decisione della corte su questa richiesta. Oggi si dovrebbe sapere se e come questo strano caso, che nel bene e nel male sta fornendo un ritratto di come funzionano le istituzioni e i poteri in Russia, andrà avanti.

Astrit Dakli

Da Il Manifesto, 26 novembre, pagina 11

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