Il G8 Universitario, che in questi giorni si sta svolgendo a Torino, nel castello del Valentino, fa paura a tutti.
Al Viminale, che lancia l’allarme generale e allerta le autorità: i manifestanti potrebbero essere tanti, e fare le prove generali del g8 aquilano (http://torino.repubblica.it/dettaglio/contro-g8-allarme-del-viminale/1633197)
Al Rettore, che quasi di nascosto chiude Palazzo Nuovo, il luogo simbolo del nostro Ateneo, per 5 giorni. Quasi di nascosto: tutto deciso e comunicato all’ultimo minuto. L’annuncio addirittura appare soltanto sul sito di Unito, ma non su quelli delle facoltà che a Palazzo Nuovo hanno sede (Lettere, Lingue, Scienze della Formazione e Giurisprudenza).
Inutile chiamare le Presidenze per avere notizie sulla chiusura: il Palazzo è chiuso anche ai lavoratori, che quindi non potranno rispondere ai telefoni (che immagino bollenti ugualmente).
Inutile chiedersi quale sia la sorte degli esami in programma durante i giorni di chiusura forzata: nessuno ha una risposta certa. E si arriva così al paradosso per cui, a ridosso dell’apertura della sessione esami (momento cruciale per ogni universitario), non si è certi di poter sostenere quegli esami. In barba alle esigenze di noi studenti, l’ordine pubblico vince su tutto.
Ma è davvero questa la soluzione?
Nella protesta contro la chiusura dell’Università, lo striscione di alcuni studenti recitava “Il dissenso non si chiude“.
Se la soluzione delle autorità, infatti, è togliere spazio alla criticità dei saperi, allora il rettore, e dietro di lui i responsabili dell’ordine pubblico, dovrebbero ripensare la propria strategia.
Se la paura era quella di un’occupazione, da parte dei manifestanti, di Palazzo Nuovo, allora la soluzione è miope: l’occupazione infatti è stata solo “spostata” di qualche centinaio di metri, nella Palazzina Aldo Moro.
La chiusura di Palazzo Nuovo, oltretutto, stupisce anche sotto un altro profilo. L’autunno passato è stato decisamente “caldo”: tutte le sedi universitarie sono state occupate dagli studenti in protesta contro la legge 133 e i suoi tagli indiscriminati alla cultura, uniti alla minaccia di privatizzazione degli atenei. Eppure, nonostante le temibili occupazioni, la didattica si è svolta ovunque regolarmente: le attività studentesche erano infatti momenti ulteriori di confronto, senza che nessuna lezione o esame ne venisse inficiato. Un segno di responsabilità, evidentemente, che smentiva con i fatti gli allarmismi e le denuncie del governo (per cui eravamo dei fannulloni e dei sovversivi).
A maggior ragione qiundi la chiusura di Palazzo Nuovo stride con la sensibilità di noi studenti; a maggior ragione stride con l’impegno di chi sta campeggiando allo Sherwoord Camp (www.sherwoodcamp.net) e lo sta facendo pacificamente, creando spazi di discussione alternativi e ricchi di contenuti, e mettendo in discussione un modello di sviluppo, come quello imposto dagli 8 grandi, che si è rivelato fallimentare e che mostra ora tutta la sua debolezza.
Un altro mondo è possibile, e non basterà chiudere le sedi universitarie per cancellare il nostro impegno.
Che cosa ne pensate?
Margherita Baldarelli
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