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INFILTRAZIONI MAFIOSE, NEL PACCHETTO SICUREZZA UN'OCCASIONE MANCATA.

di Silvia Iachetta

Infiltrazioni mafiose, nel pacchetto sicurezza un'occasione mancata

Sono 182 i comuni sciolti per infiltrazioni mafiose dal 1991, anno di introduzione della Legge n.221, al 31 dicembre 2008. Alcune amministrazioni comunali sono state reintegrate a seguito del loro ricorso al TAR, altri comuni, invece, sono stati interessati dal provvedimento più volte. Proprio quest’ultimo dato ci induce a riflettere sulla reale efficacia della Legge, considerando, inoltre, che spesso le elezioni successive allo scioglimento del comune per infiltrazioni mafiose seguono la stessa prassi nelle modalità di raccolta del consenso e nella “selezione” dei politici. Ma quand’è che si determinano le condizioni per la richiesta di scioglimento? Lo abbiamo chiesto a Vittorio Mete, docente di Sociologia dei fenomeni politici, che nel suo recente libro “Fuori dal comune”, effettua un’analisi dettagliata e documentata della Legge, traendone spunti di riflessione sulla parziale inadeguatezza della normativa.


“Non ci sono regole certe. I motivi ricorrenti sono in primo luogo riconducibili ai legami che alcuni amministratori locali instaurano con i mafiosi. In circa metà dei decreti si menzionano anche le parentele degli amministratori locali con noti mafiosi e pregiudicati. In altri casi ancora, sono citate le modalità distorte di raccolta del consenso elettorale, sia in forme clientelari sia in forme d’imposizione violenta della volontà dei mafiosi sugli elettori o sui consiglieri comunali. Alcune delle fattispecie menzionate valgono anche per i dipendenti e i dirigenti dell’ente comunale. In altre circostanze, il Prefetto avvia la procedura di accesso agli atti dopo che a livello locale si è registrato un evento eclatante di natura illegale o chiaramente di stampo mafioso”.

Mi viene lecito chiederle se in questi 182 comuni era la politica che non riusciva più a fronteggiare il condizionamento malavitoso oppure politica e mafia erano ormai un “corpo unico”?
<<Il rapporto tra mafia e politica non sempre è chiaro. In alcuni casi i mafiosi avevano sostenuto specifici candidati ai quali poi avevano chiesto “il conto” in termini di decisioni a loro favorevoli. In altri i mafiosi si erano “messi in proprio”, non delegando nessun politico, ma facendo eleggere qualche uomo interno al gruppo criminale, assicurandosi quindi una più netta capacità di controllo sull’amministrazione comunale. In altri ancora, amministratori onesti subivano pressioni che rendevano impossibile un’azione amministrativa volta a perseguire il bene della collettività.>>.

Da un punto di vista legislativo, invece, a che punto è l’iter su questa materia? Quali sono i punti di forza e quali le carenze?
<<La normativa è rimasta sostanzialmente quella approvata agli inizi degli anni ’90, quindi vecchia e inadeguata. Le mafie mostrano notevoli capacità di adattamento alle trasformazioni sociali, pertanto lo Stato dovrebbe essere altrettanto pronto nell’aggiornare gli strumenti di contrasto. Nelle precedenti legislature ci sono state molte proposte di modifica della normativa, ma nessuna va al cuore del problema, vale a dire il rapporto tra mafia e politica e la responsabilità dei partiti nella selezione dei candidati>>.

Anche la riforma parziale della normativa contenuta nel cosiddetto “pacchetto sicurezza”, recentemente approvato alla Camera e che ora deve tornare al Senato per l’approvazione definitiva, le sembra insufficiente?
<<Malgrado alcune modifiche apprezzabili, mi sembra che si tratti di un’occasione mancata. L’impostazione dello strumento di contrasto rimane identica: si punta sull’azione dell’amministrazione straordinaria senza affrontare il vero nodo dei rapporti tra mafia e politica, ovvero il consenso sociale di cui godono i mafiosi e l’incapacità dei partiti di sbarrare il passo ai portatori d’interessi mafiosi>>.

Dunque, nemmeno il commissariamento di un comune riesce a ripristinare principi di legalità e trasparenza?
<<Se un’amministrazione comunale è infiltrata dalle mafie, c’è poco da fare, in qualche modo gli amministratori vanno rimossi. Eppure, pur essendo quella del commissariamento una strada obbligata, raramente conduce ad un reale e duraturo rinnovamento delle modalità di raccolta del consenso ed a trasformazioni radicali della gestione della cosa pubblica. I doppi scioglimenti degli stessi comuni testimoniano l’inadeguatezza di questa soluzione. È indubbio che, in molti casi, il problema insormontabile è la disponibilità degli elettori a promuovere politicamente personaggi mafiosi o influenzabili dai mafiosi>>.

Per lei, allora, quale potrebbe essere la strada più giusta da percorrere?
<<La battaglia da portare avanti è di lungo periodo e riguarda i meccanismi educativi, la presenza e la credibilità dello Stato sul territorio, gli aspetti economici con la sottrazione del ruolo di principale datore di lavoro a livello locale che spesso i gruppi criminali rivestono. Nel breve periodo, invece, si potrebbe prevedere che i partiti nazionali, ai quali fanno riferimento gli amministratori locali cui si imputano le responsabilità degli scioglimenti, si assumano le responsabilità delle azioni dei loro iscritti/rappresentanti a livello locale. Le modalità al riguardo potrebbero essere molte, anche prevedendo una decurtazione del finanziamento pubblico attribuito ai partiti>>.

Quanto è importante il ruolo dell’opinione pubblica? Quanto è necessario abbattere il muro di omertà tra la gente e creare una nuova cultura della legalità?
<<È necessario il coinvolgimento di tutti, singoli e gruppi. Se i cittadini non fanno tesoro dello scioglimento per ripensare il proprio rapporto con la politica, tutto è vano, si tornerà alle solite logiche clientelari e mafiose nella gestione della cosa pubblica. Se i gruppi della società civile rimangono inermi dopo uno scioglimento, difficilmente la configurazione della classe politica e le relazioni di potere consolidate subiranno modifiche significative. Se la parte “buona” della politica non ha uno scatto di orgoglio e, dopo essersi lamentata per l’ingiustizia subita, non riesce ad isolare e denunciare personaggi discussi e pratiche politiche discutibili, allora le cordate clientelari manterranno il loro ruolo da protagonista sulla scena politica ed elettorale locale>>.

Quale ruolo spetta invece agli organi di informazione?
<<La stampa ha le sue responsabilità: in paesi piccoli e medi le notizie fanno presto a diffondersi. Un buon giornalista dovrebbe probabilmente passare meno tempo su Internet o dietro la porta dei politici, in attesa che gli forniscano le notizie, e spenderne di più “sul campo”, denunciando abusi edilizi, omissioni degli uffici comunali, favoritismi non propriamente legali>>.

In un recente question time alla Camera il ministro dell’Interno ha ribadito la necessità di scioglimento del Comune di Fondi (in provincia di Latina), uno dei luoghi di maggiore densità mafiosa dell’Italia centrale. Ma il governo glissa, tentenna, non procede. Probabilmente avviene per Fondi come per altre realtà. Quali sono le ragioni? Sottovalutazione del fenomeno? Paura di ripercussioni? Connivenze?
<<I motivi possono essere tanti. Si tenga conto che non è la presenza mafiosa in un territorio che, di per sé, porta ad uno scioglimento. I motivi che suggerirebbero uno scioglimento dell’ente locale sono contenuti nella relazione della commissione d’accesso che, però, anche nel caso di Fondi, non può essere letta da nessuno. Questo è un altro aspetto di inadeguatezza della normativa: l’opacità dell’iter di scioglimento. Difficilmente una motivata richiesta di scioglimento che proviene dal Prefetto può essere respinta dal Ministro. La stessa appartenenza politica del comune candidato allo scioglimento e del Governo nazionale non è un elemento che riesce a salvaguardare il comune dalla mannaia del decreto che azzera l’amministrazione comunale. Dal 1991 ad oggi governi di centro-destra hanno sciolto amministrazioni di centro-destra e governi di centro-sinistra hanno sciolto comuni con maggioranze politiche di centro-sinistra>>.

Tratto da Articolo21

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