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12 ANNI DALLA MORTE DI SILVIA RUOTOLO

Napoli, 12.06.2009 | di Alessandra Del Giudice

Dolore privato e memoria collettiva

A Piazza Medaglie D’Oro a Napoli, su una lapide nei giardinetti c’è la targa intitolata a Silvia Ruotolo. E’ qui che ogni 11 giugno da 12 anni i familiari di Silvia e la società civile si riuniscono e depongono i fiori per commemorare la mamma, la moglie, la vittima innocente della camorra.

Silvia è la mamma che l’11 giugno del 1997 era andata a prendere a scuola suo figlio Francesco di 5 anni. A guardarla, dal balcone c’era Alessandra, la figlia di 10 anni.

Silvia aveva 39 anni e non sarebbe più invecchiata, ne avrebbe visto i suoi figli diventare grandi, perché quell’undici giugno di 12 anni fa fu colpita a morte da una scarica di proiettili.

L’obiettivo era Salvatore Raimondi, affiliato al clan Cimmino, avversario del clan Alfieri, ma questo ai sicari poco importava. Nell’agguato rimase ferito un giovane mentre Silvia morì immediatamente.

Sulla strada macchiata di sangue nel quartiere “bene” dell’Arenella, accanto al corpo di Silvia rimase lo zainetto del piccolo Francesco.

Ieri, accanto ai familiari di Silvia e di altre vittime innocenti di camorra c’erano associazioni, rappresentanti istituzionali, singoli cittadini, rappresentanti delle forze dell’ordine a testimoniare l’impegno di tutti affinché non venga versato altro sangue innocente.

Tra gli altri Don Tonino Palmese e Geppino Fiorenza, referenti regionali di Libera; Rosario D’Uonno, direttore del Marano Ragazzi Spot Festival, Gianluca Guida direttore del carcere di Nisida e Ignazio Gasperini che da due anni fanno incontrare i familiari delle vittime ed i carcerati per realizzare insieme video, spot o opere artistiche che abbiano come tema la memoria e l’impegno.

“Ciò che più mi fu difficile nei giorni dopo la morte di Silvia- racconta sempre Lorenzo Clemente, marito di Silvia – fu guardare negli occhi i miei figli e dare una risposta ai loro perché”.

A distanza di 12 anni la risposta a quei perché Lorenzo l’ha trovata camminando insieme ai suoi figli accanto a Libera ed al Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti di criminalità di cui è presidente. La risposta è negli occhi della figlia Alessandra che- dice Lorenzo- “pochi giorni fa mi ha chiesto: Avrò la possibilità di dare ai miei figli ciò che tu hai dato a me?”

L’impegno civile dei famigliari delle vittime innocenti nel portare la loro esperienza nelle scuole, nelle carceri, negli interventi pubblici è un dono prezioso non che doloroso per portare dalla parte della legalità chi aveva scelto una strada senza uscita.

“La lotta dei familiari non ha il mero scopo egoistico di dare un senso al nostro dolore- spiega Lorenzo- il senso forte che vogliamo trasmettere è che ciò che è avvenuto a noi non avvenga ad altri. Perciò è doloroso verificare che continuano ad avvenire episodi tragici come quello di Petru, ucciso come un cane solo per dare una dimostrazione del potere camorrista, perché “un immigrato non vale nulla”. Anche Petru aveva un bambino dell’età di Francesco quando mia moglie è stata uccisa”.

I momenti di sconforto ci sono ma c’è anche l’entusiasmo e la speranza. Come quella di Alessandra, una ragazza solare di 22 anni, che studia con ottimi risultati legge e sogna di fare il magistrato, dice “non per giustizialismo, ma perché mi piace”

I suoi occhi sono azzurri come il mare della Sardegna, “così- racconta Lorenzo,- li aveva immaginati Silvia per sua figlia quando in vacanza in Sardegna si era resa conto di essere incinta.

E chissà che non fosse quella una benedizione particolare di Silvia per sua figlia, quella che oggi è una giovane donna coraggiosa e sensibile di cui andrebbe orgogliosissima.

“Come figlia, – spiega Alessandra- ricordo mia mamma ogni giorno ma se oggi ho deciso di condividere il mio dolore con la cittadinanza è perché ho capito, grazie al coordinamento dei familiari e a Libera, che il proprio dolore può essere reso pubblico per metterlo a servizio della memoria collettiva. Perché questo sia un pungolo per maturare la consapevolezza che la normalità è la legalità e non il contrario. Ciò che fa rimanere male è la gente  che vive a Napoli, la mancanza di sdegno e di reazione, il fatto che certe cose siano la “normalità”.

Nonostante tutto, Alessandra non vuole andare via da Napoli ma restare e cambiare le cose. “Ognuno di noi può fare qualcosa dall’insegnate, al genitore.- continua il futuro magistrato- L’importante è fare bene ciò che si fa. Mi voglio svegliare ogni mattina pensando ai prossimi cinque anni a Napoli e di stare bene. Ho 22 anni ed ho questa percezione, questo entusiasmo. E se ce l’ho io possono averlo anche gli altri”.

Chiude la commemorazione Don Tonino Palese, con un Padre Nostro recitato all’unisono da tutti i presenti.

“Quando penso alla vittime,- racconta Don Tonino- non posso non pensare a Gesù Cristo in Croce che perdonò i suoi carnefici dicendo “Dio perdonali perché non sanno quello che fanno”. Oggi mi risulta difficile credere che i mafiosi non sappiano ciò che fanno, perché la loro prospettiva precisa è quella dell’accumulo di beni e denaro”.

Restano dentro le parole di Alessandra insieme al suo sguardo, pieno di vita e di speranza, nonostante tutto: “Sono contenta di condividere con voi il lutto ma se ricevo una promessa: quella di vivere questo momento di memoria collettiva come la promessa di impegno di ognuno di noi”.

Articolo tratto da Liberainformazione

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