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PIU' TASSE PER GLI STUDENTI

di Daniele Checchi e Aldo Rustichini 22.07.2009

Aumenti anche consistenti delle tasse universitarie italiane sono possibili a due condizioni. Che vengano aumentate le possibilità di scelta delle famiglie, per esempio attraverso la costruzione di residenze universitarie. E vengano tutelate le fasce economicamente deboli, attraverso meccanismi di borse di studio erogate non solo sulla base del reddito familiare, ma anche del contesto socio-culturale. Gli atenei avrebbero così a disposizione risorse aggiuntive e più tempestive. E si avvierebbero quei cambiamenti che nessuna riforma dal centro riesce a imporre.

L’università italiana si è trovata negli ultimi anni a fronteggiare difficoltà crescenti. Da un lato la normativa ha offerto maggiori margini di autonomia agli atenei, dall’altro la domanda di formazione superiore è cresciuta a livelli precedentemente sconosciuti. È chiaro che la pressione creata dall’espansione della domanda delle famiglie su risorse finanziarie (che continuano a dipendere da un finanziamento centrale) e su una dotazione di infrastrutture pressoché fissa, crea criticità che diventano velocemente insostenibili. La situazione richiede a nostro parere una trasformazione della organizzazione del finanziamento delle università di pari portata.

DIVERSI MODELLI DI FINANZIAMENTO

Affrontiamo un aspetto per noi strategico, ovverosia quello della trasformazione dei contributi degli studenti al finanziamento dell’università. Questa proposta è giustificata da due considerazioni: da un lato, rendere meno erratico il finanziamento agli atenei. Basti pensare che ad oggi gli atenei non conoscono ancora quanto sarà il loro finanziamento relativo non al 2010, ma al 2009. Dall’altro garantire una diverso rapporto tra chi si serve dell’università e chi fornisce il servizio dell’istruzione superiore. Noi vogliamo invece immaginare una soluzione che vada nella direzione di una modifica strutturale del sistema di finanziamento.
Si tratta innanzitutto di una scelta tra modelli di finanziamento. Diversi paesi adottano modalità diverse di finanziamento della formazione universitaria. Molto schematicamente: i paesi nordici offrono l’università gratuitamente, grazie a un sistema di borse di studio; i paesi dell’Europa continentale, tra cui l’Italia, mantengono contribuzione bassa da parte degli studenti, con sostegno pubblico limitato o nullo; infine i paesi anglosassoni hanno livelli più elevati di contribuzione privata, accompagnati da vari sistemi di aiuto (o in forma di debiti o in forma di borse di studio).
Noi riteniamo che il sistema di finanziamento italiano sia attualmente inadatto a fronteggiare l’espansione che si è verificata contestualmente alla riforma del 3+2, e che una sua profonda trasformazione sia ormai inevitabile. Da un lato, il finanziamento centralizzato è incapace di tempestività, controllo degli esisti e indirizzo, risultando quindi del tutto inutile ai fini della promozione della qualità della formazione, per non parlare della ricerca. Dall’altro, lascia nella sostanziale irresponsabilità gli studenti e le loro famiglie, che sono indotte ad accettare uno scambio del tipo: basso prezzo – basse aspettative – bassa qualità. Magari accontentandosi dell’illusorio identico valore legale del titolo di studio tra tutti gli atenei. Questo è particolarmente visibile quando si veda il livello ridicolo delle tasse universitarie pagate mediamente nelle università meridionali.
Riteniamo perciò che aumentare le tasse universitarie a carico delle famiglie sia auspicabile, per due ragioni. Da un alto, perché può fornire risorse aggiuntive e più tempestive agli atenei, permettendo loro di uscire dalla morsa delle negoziazioni ministeriali (cui stiamo assistendo in questo periodo). Dall’altro, perché ci aspettiamo che quando gli studenti, e le loro famiglie, facciano una scelta di formazione universitaria pagando un prezzo più alto, divengano più esigenti sulla qualità della formazione che ricevono, scelgano più attentamente le facoltà dove si iscrivono, controllino più attentamente la qualità dei servizi prestati e richiedano quei cambiamenti che dal centro nessuna riforma può riuscire a imporre. Se gli studenti impareranno a “votare con i piedi” si produrrà quella concorrenza tra atenei che può aprire degli spazi per i più dinamici.

LA TASSA DEL LAUREATO

Ovviamente, questo pone immediatamente il problema delle possibili ricadute degli aumenti sulla scelta di iscrizione universitaria, e prima di tutto il rischio di un effetto squilibrato a svantaggio dei settori della popolazione di più basso reddito. Ci sono tre modi di affrontare (o meno) il problema.
Il primo è quello di “non fare nulla”, aumentando le tasse di iscrizione e lasciando che gli studenti si occupino da soli del problema di far fronte all’aumentato costo. Questa via sarebbe ingiusta dal punto di vista sociale e inefficiente da quello economico. Il secondo modo è il puro modello “mutuo”. Lo studente ottiene un prestito, garantito da qualche risorsa esterna, spesso le proprietà della famiglia di origine. Così come quando si acquista una casa, gli studenti nel mercato dei capitali trovano un finanziamento privato da restituire nel tempo, indipendentemente dalle loro possibilità di restituzione effettiva. Questa soluzione ha molti degli aspetti negativi di ineguaglianza e inefficienza della prima soluzione.
La terza soluzione, indicata in letteratura come “tassa del laureato” (graduate tax) adottata per esempio in Inghilterra e in Australia, è quella di legare il pagamento del prestito al reddito che il laureato guadagnerà dopo la conclusione degli studi. I principi fondamentali del sistema sono tre, e molto semplici.
Primo, lo Stato paga direttamente all’università a cui lo studente è iscritto una parte del costo del servizio. Lo studente accende un debito con lo Stato che verrà restituito in parte immediatamente e in parte in seguito.
Secondo, i tempi del pagamento tengono conto del reddito che il laureato consegue quando entra nel mondo del lavoro. Per esempio, solo quando questo reddito supera una soglia minima scatta la restituzione del debito, con una frazione che aumenta con l’aumentare del reddito. In questo modo la collettività offre una assicurazione implicita contro i rischi di fallimento dell’investimento universitario.
Terzo, il programma è gestito in comune dal ministero dell’Istruzione e della Agenzia delle Entrate, cosicché l’evasione sui pagamenti è resa più difficile e l’onere del prestatore di ultima istanza resta a carico della fiscalità generale.
Nella simulazione che si trova nel testo allegato mostriamo come il raddoppio delle tasse universitarie mediamente pagate avrebbe effetti trascurabili e facilmente compensabili con adeguati interventi di sostegno allo studio.
A nostro parere non è quindi impossibile immaginare aumenti, anche consistenti, delle tasse universitarie italiane, a due condizioni: da un lato che vengano aumentate le possibilità di scelta delle famiglie, attraverso per esempio la costruzione di residenze universitarie finanziate con la destinazione vincolata di parte degli aumenti stessi. Dall’altra che vengano tutelate le fasce economicamente deboli, attraverso meccanismi di borse di studio erogate non solo sulla base del reddito familiare, ma anche sulla base del contesto socio-culturale, per esempio sostenendo i figli di genitori che non abbiano completato l’obbligo scolastico.

Articolo tratto dal sito Lavoce.info

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