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MA L'ORRORE NON SI CANCELLA

Da La Repubblica, edizione di Napoli

di Giovanni Marino

Quanto vale la vita di una giovane donna che il fato maligno ha fatto nascere nella periferia Nord di Napoli? Quanto costa risarcire il dolore inconsolabile di una madre che ha visto il corpo della sua ragazzina decomposto dalle fiamme? Trecentomila euro, è la rabbrividente risposta che arriva dal mondo “irreale” delle aule giudiziarie. Bastano trecentomila euro per cancellare l’orrore di Mina, ventuno anni e tante speranze di costruirsi una esistenza felice, un animo gentile votato al volontariato, una ragazza sacrificata in nome di una brutalità bestiale chiamata faida di Scampia, ingannata, assassinata e bruciata, ultimo sfregio, all’interno di un’auto.

Un accordo tra le parti, si dice nel freddo gergo della giustizia. Una parte è quella di Cosimo Di Lauro, per gli investigatori il più feroce dei figli di Paolo, il padrino della droga di Scampia. L’altra parte, è una donna vinta da una tragedia insopportabile, la mamma di Mina, la sua famiglia piegata dalla tragedia. In mezzo, ci sono quei trecentomila euro ed anche tante inevitabili domande sulla loro provenienza. Ufficialmente sono soldi che Di Lauro junior aveva messo da parte: quattrini prelevati da un libretto acceso dal boss figlio di boss dopo un incidente stradale nel quale era rimasto ferito anni fa. Ma viene pure spontaneo ragionare sull’esiguità della cifra rispetto al pingue mercato della droga: cosa sono trecentomila mila euro?

Secondo le stime degli analisti dell’antimafia, circa mezza giornata di lavoro nelle piazze dei narcotici ai tempi della faida, quando ancora imperavano i Di Lauro e gli “affari” procedevano speditamente. Spiccioli, insomma. E meno che spiccioli, ovviamente, se questo malloppo di banconote viene messo sul piatto della bilancia rispetto alla sacralità della vita umana. Zero. Nulla. Quella del boss figlio di boss è solo una mossa, un freddo calcolo giudiziario per evitare che in appello la famiglia Verde si costiuisca parte civile. E un altro paradosso in questa paradossale vicenda è che i trecentomila euro non vanno minimamente interpretati come una seppur minima ammissione di responsabilità.

No, Di Lauro junior, già condannato in primo grado come mandante del delitto, ha sempre respinto ogni accusa sulla fine di Mina. La legge gli consente questa (per molti incomprensibile) scappatoia: versi il denaro per un omicidio ma neghi di averlo commesso. Semplicemente Di Lauro junior mette sul tavolo trecentomila euro come un cinico giocatore di scacchi alla vigilia di una importante partita: il giudizio d’appello. Un altro orrore che non cancella l’orrore dell’assassinio di Mina.

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