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LA SENTENZA. DELL'UTRI MEDIATORE TRA COSA NOSTRA E BERLUSCONI.

di Monica Centofante – 20 novembre 2010
Ha svolto per quasi vent’anni un’attività di “mediazione” ponendosi come “specifico canale di collegamento” tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi.
Marcello Dell’Utri, l’amico dei boss, ha agevolato l’una e l’altro.

Apportando a Cosa Nostra “un consapevole rilevante contributo” al proprio rafforzamento grazie alla “cospicua fonte di guadagno illecito rappresentata da una delle più affermate realtà imprenditoriali di quel periodo” che sarebbe divenuta, nel volgere di pochi anni, “un vero e proprio impero finanziario economico”. E risolvendo, contemporaneamente, i problemi di Silvio Berlusconi, minacciato dalla mafia, che ha preferito pagare pur di non denunciare le estorsioni subite e di “stare tranquillo”.

Nelle 641 pagine di motivazione della sentenza d’appello, con la quale il senatore è stato condannato a giugno a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, la Corte fornisce un’importante conferma all’impianto accusatorio dei giudici di primo grado. E ricostruisce due decenni di relazioni e contatti tra l’odierno parlamentare del Pdl ed esponenti di primo piano dell’organizzazione mafiosa.
Non incontri sporadici quindi, come la difesa li aveva più volte definiti, ma “amichevoli rapporti” mantenuti da Dell’Utri negli anni “con coloro che erano gli aguzzini del suo amico e datore di lavoro”. E “che gli consentivano di porsi in diretto collegamento con i vertici della potente mafia siciliana”: prima Stefano Bontade, il più influente esponente dell’epoca, e poi Salvatore Riina.


Tutto nasce dall’ormai noto incontro a Milano, negli uffici della Edilnord, tra lo stesso Bontade e Silvio Berlusconi, alla presenza, ovviamente, di Marcello Dell’Utri e altri boss.
E’ in quell’occasione, confermano i giudici, che viene stipulato l’accordo al quale seguirà l’invio ad Arcore di Vittorio Mangano. Non uno “stalliere”, ma la garanzia contro i sequestri.
In quell’occasione, prosegue il documento, Stefano Bontade “si impegnò personalmente ad assicurare con la sua indiscussa autorità mafiosa indicando a Berlusconi proprio l’imputato (Dell’Utri, ndr) per ogni eventuale futura esigenza” “e contestualmente stabilendo che avrebbe mandato o comunque incaricato specificamente qualcuno che gli stesse vicino”.
In cambio l’imprenditore aveva iniziato a versare importanti somme di denaro all’associazione mafiosa. Una vicenda che si intreccia, sottolineano i giudici, “con il tema dei pagamenti avvenuti per la cosiddetta ‘messa a posto’ relativa alle antenne televisive che Fininvest avrebbe cominciato a gestire iniziando ad acquisire nel palermitano alcune emittenti Tv”.

Siamo all’inizio degli anni Ottanta, protagonisti della violenta guerra di mafia che avrebbe lasciato sul campo di battaglia lo stesso Stefano Bontade, ma non i rapporti dell’imprenditore milanese con l’associazione criminale.
“Infatti – si legge nel documento – anche dopo la morte di Bontade, nell’aprile del 1981 e l’ascesa in seno all’associazione mafiosa di Riina”, Dell’Utri “ha mantenuto i suoi rapporti con Cosa Nostra specificamente adoperandosi, fino agli inizi degli anni ’90, affinché il gruppo imprenditoriale facente capo a Silvio Berlusconi continuasse a pagare cospicue somme di denaro a titolo estorsivo in cambio di ‘protezione’ a vario titolo assicurata”.
Un’operazione che l’imputato ha potuto portare avanti grazie proprio a quei rapporti mai interrotti negli anni con Antonino Cinà e Vittorio Mangano, “i due esponenti mafiosi in contatto con i vertici di Cosa Nostra i quali hanno accresciuto nel tempo il loro peso criminale … proprio in ragione del fatto che l’imputato ha loro consentito di accreditarsi come tramiti per giungere a Silvio Berlusconi, destinato a diventare uno dei più importanti esponenti del mondo economico-finanziario del paese, prima di determinarsi anche verso un impegno personale in politica”.

Tale condotta, scrivono in un modo un po’ sbrigativo i giudici, può però “ritenersi sussistente” solo fino a quando è provato il pagamento da parte di Silvio Berlusconi “delle somme richiestegli a favore di Cosa Nostra”. Ossia fino al 1992, “difettando invece elementi certi per affermare che ciò sia avvenuto anche negli anni successivi ed in particolare dopo la strage di Capaci e nel periodo in cui, dalla fine del 1993, l’imprenditore Berlusconi decise di assumere il ruolo a tutti noto nella politica del Paese”.
Secondo i giudici mancherebbero infatti “prove inequivoche e certe di concrete e consapevoli condotte di contributo materiale ascrivibili a Marcello Dell’Utri aventi rilevanza causale in ordine al rafforzamento dell’organizzazione criminosa”. E quindi non sarebbe provato neppure il “patto elettorale” tra le cosche e Forza Italia, ai tempi della “discesa in campo” del Cavaliere.
Tuttavia il documento non esclude che tra “la fine del 1993 e i primi mesi del 1994, in concomitanza con la nascita del partito politico di Forza Italia … all’interno di Cosa Nostra maturò diffusamente la decisione di votare per la nuova formazione così come confermato da tutti i collaboratori di giustizia esaminati al riguardo”.
Segno che la tra le fila di Cosa Nostra quel partito doveva rappresentare quantomeno una garanzia.

“Mentre in Sicilia magistrati e uomini delle forze dell’ordine perdevano la vita nella lotta alla mafia – ha commentato questa mattina il senatore Lumia, componente della Commissione Antimafia – Marcello Dell’Utri faceva da canale di collegamento tra la mafia e Berlusconi. Questo è un fatto incontrovertibile che conferma i legami organici e collusivi tra il braccio destro dell’attuale presidente del Consiglio e fondatore di Forza Italia e Cosa nostra”. Ed “è scandaloso – ha aggiunto – che i principali mezzi d’informazione, il Tg1 e il Tg5, non abbiano dato la notizia”.

TRATTO DA http://www.antimafiaduemila.com/index.php?option=com_content&task=view&id=31704&Itemid=78

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