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DESTINO INCROCIATO: STORIA DI TRE CARABINIERI

L’anno 1920 diede gli annali a tre carabinieri che immolarono la propria vita di fronte a tre delle piaghe che hanno segnato la nostra storia.

Oggi Carlo Alberto, Enrico e Salvo avrebbero circa 91 anni, forse sarebbero ancora vivi se, indossando la divisa da carabiniere, avessero fatto scelte diverse, dettate meno dal senso del dovere e più da circostanze di convenienza.

Tutti e tre appena ventenni intrapresero la carriera militare.

Carlo Alberto Dalla Chiesa e Enrico Galvaligi, tenenti dell’Arma, dopo l’8 settembre 1943, senza esitazioni, scelsero di non prestare fedeltà alla Repubblica Sociale e di arruolarsi nelle file partigiane, per combattere il nazifascismo e proteggere la popolazione civile.

Per Salvo D’Acquisto le cose andarono diversamente. Dopo l’8 settembre continuò a prestare servizio presso la stazione dei carabinieri di Torrimpietra vicino Roma. Il 22 settembre alcuni soldati tedeschi, nell’ispezionare nella zona, alcune casse di munizioni e ordigni, furono colpiti da un’esplosione e due di loro morirono. Il comandante del nucleo delle SS minacciò la rappresaglia se non si fossero trovati i responsabili. Il giorno dopo seguì il rastrellamento di ventuno persone dichiaratesi innocenti, e fu prelevato anche il vice brigadiere D’Acquisto, in vista della loro fucilazione per vendicarsi della morte dei soldati tedeschi. Non servì a nulla ribadire la propria innocenza, il destino degli ostaggi era segnato.

Ma è in questi istanti che gli uomini devoti al senso del dovere fanno scelte che possono cambiare le sorti delle persone. Il Carabiniere fu visto parlare con un ufficiale delle SS, subito dopo i ventuno ostaggi furono rilasciati.

Salvo D’Acquisto si autoaccusò (anche se estraneo ai fatti) dell’attentato (più probabilmente un incidente) per salvare la vita a ventuno persone innocenti. Un sacrificio a cui pochi sarebbero andati incontro, eppure non finisce qui. Mancava poco perché Salvo fosse fucilato, gli ostaggi ormai liberati furono fatti allontanare, e uno di questi anni dopo racconterà che il Carabiniere, prima dell’ultimo istante di vita, lanciò un grido: “Viva l’Italia”. Seguì inesorabile la raffica d’arma da fuoco. Persino i suoi assassini riconobbero il suo eroismo.

Significativa una frase attribuita a D’Acquisto: “Se muoio per altri cento, rinascerò altre cento volte, dio è con me e io non ho paura”. Inevitabile l’assegnazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare, il più alto riconoscimento, in quanto “affrontava così- da solo- impavido la morte, imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una nuova pagina indelebile di massimo eroismo nella storia gloriosa dell’Arma”.

La guerra finì, l’Italia era stata liberata,  Carlo Alberto e Enrico, diventando in seguito amici, prestarono servizio in diverse località della penisola. Dalla Chiesa si distinse inoltre per eccellenti operazioni in Sicilia contro la mafia.

Si giunse agli anni ’70, anni difficili, in cui i giovani, mossi da ferventi ideali contrapposti, morivano per le strade delle città, dove destra e sinistra si fronteggiavano in una lotta fratricida.

Erano gli “anni di piombo” in cui sorsero gruppi terroristici rossi e neri che avrebbero minato l’assetto democratico e insanguinato l’Italia.

La lotta tra Stato e terrorismo durò anni, si susseguirono stragi e uccisioni compiute dai Nar e altri gruppi di estrema destra, e ancora omicidi da parte delle Brigate Rosse, Prima Linea e altre fazioni. Uno degli episodi più eclatanti fu il rapimento e l’eliminazione di Aldo Moro.

Al Generale Dalla Chiesa vengono conferiti poteri speciali contro il terrorismo, infatti comandava un nucleo che aveva competenza molto estesa. Conduce operazioni di spicco che consegnano alla giustizia pericolosi terroristi.

Il Generale Galvaligi intanto operava a Roma, e ricevette un nuovo incarico da Dalla Chiesa: il coordinamento dei servizi di sicurezza per gli istituti di pena e prevenzione. Un rischioso incarico che consisteva nel mantenere la sicurezza nelle carceri dove erano detenuti i più pericolosi terroristi. Nel 1980 Enrico Galvaligi da Roma condusse una delicata operazione che lo portò ad ordinare l’intervento del G.I.S.(Gruppo Interventi Speciali) dei carabinieri per fermare una rivolta all’interno del carcere di Trani innescata da facinorosi eversivi. Tutto si concluse al meglio e senza spargimenti di sangue, un risultato importante. Pochi giorni dopo la vendetta non si fece attendere. Andava colpito chi rappresentava in quel momento il rigore dello Stato di fronte alla minaccia terroristica. Il Generale Enrico Galvaligi fu ucciso da un commando delle Br a Roma il 31 dicembre 1980. Fu insignito della Medaglia d’oro al Valor Civile in quanto “perseverava nella propria missione con assoluta dedizione e sprezzo del pericolo, in difesa delle istituzioni e nell’interesse della comunità”. Dalla Chiesa perse uno dei suoi più fidati amici e colleghi.

E’ il 1982 e l’alto ufficiale col grado di Generale di divisione prende in mano l’incarico di Vice Comandante Generale dell’Arma, il più rilevante ruolo mai ricoperto da un carabiniere fino a quel momento.

Il 30 aprile dello stesso anno,Pio La Torre, segretario regionale del Partito Comunista in Sicilia e deputato viene ucciso a Palermo in seguito alla sua intensa attività antimafia che culminò con la proposta in Parlamento di una legge che istituiva il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso e un’altra che prevedeva la confisca dei beni agli affiliati alle organizzazioni criminali. L’uomo più adatto a contrastare il fenomeno mafioso è Carlo Alberto Dalla Chiesa, che già si era fatto conoscere in Sicilia nei decenni precedenti. Ma questa volta farà il suo arrivo a Palermo in veste di prefetto. Il Ministro Rognoni gli promise poteri speciali contro la mafia. Questi poteri non gli furono mai assegnati. Lamentava:”Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì”. Nonostante alcuni successi ottenuti in un’intervista rilasciata a Giorgio Bocca espresse tutta la sua amarezza e solitudine. Dopo “100 giorni a Palermo” il 3 settembre 1982 fu ucciso in via Carini con sua moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo, che era alla guida dell’auto in cui furono freddati.

Significativo il cartello lasciato sul luogo del massacro:”Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”.

A coronamento di una vita spesa in difesa di valori come la libertà e la democrazia gli fu conferito il più alto encomio al valori civile, dopo altri numerosi riconoscimenti.

E’ stata raccontata qui la storia di tre uomini che si batterono, ognuno coi propri mezzi, contro il nazifascismo dalla cui sconfitta nacque la Repubblica Italiana, e contro altri fenomeni criminali che recarono un ingente sofferenza, come il terrorismo, alla vita democratica del paese, o che tengono ancora oggi sotto scacco intere aree d’Italia, come la mafia.

Sono state ricordate tre carabinieri troppo spesso dimenticati, nati nel ’20, che anche se uccisi, hanno tramandato fino a noi l’imprescindibile importanza del senso del dovere, espresso da un irrinunciabile servizio della collettività, che vorremmo ritrovare anche in chi oggi assume l’alto compito di esser fedele alla Repubblica, osservare la Costituzione e le leggi in nome del più nobile tra i giuramenti.

Unilibera

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