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Economia del saccheggio

Nel segno della continuità
Dalle banche alle imprese, prove tecniche del neoliberismo di stato. Dopo la vendita ai privati delle attività economiche statali ora si trasferiscono risorse pubbliche per ripianare i conti in rosso. Un intervento che non manifesta nessuna discontinuità con il recente passato
Ugo Mattei
Chi sia interessato alla dinamica fra appartenenza pubblica e privata nell’attuale fase caotica del capitalismo finanziario trova di fronte a sé un ricco laboratorio di esperienze diverse, che occorre ridurre ad unità per trovarne un senso.
In Argentina Cristina Kirchner denuncia il saqueo della compagnia Aerolineas Argentinas, privatizzata a suo tempo su pressione del Fondo Monetario Internazionale. Oggi la compagnia di bandiera argentina è in fase di rinazionalizzazione. Paradossalmente, anche la rinazionalizzazione finisce per trasferire nuove ricchezze pubbliche ai privati, sotto forma di risocializzazione delle perdite e di sostanziose fees per i diversi soggetti professionali privati che trattano questi «passaggi».
Anche negli Stati Uniti il bailout può essere interpretato in modo ambiguo. Da una parte c’è chi vi legge una radicale «inversione di rotta» in stile quantomeno keynesiano rispetto ad un ventennio di reaganomics, con crescita di potere e prestigio del settore pubblico rispetto a quello privato. Dall’ altra, c’è chi vi legge un nuovo imponente saccheggio del tesoro pubblico a favore di interessi privati. E in effetti quel mare di soldi è stato fin qui utilizzato al solo fine di ripianare libri contabili non sanabili di chi ha creduto (e speculato) sul mercato dei debiti cartolarizzati. Un mercato «scommessa» incapace di svolgere la sua funzione essenziale di segnalare il valore reale tramite il sistema dei prezzi. Vedremo quel che farà il nuovo presidente ma certo ancora una volta sono chiari vincitori (il privato) ed i vinti (il pubblico) di questa altalena storica fra impegno e disimpegno (declamato) dello Stato nell’economia.

Il nodo della governance
In Italia la partita del pubblico saccheggio si sta svolgendo di fronte a due entità: la compagnia di bandiera a suo tempo privatizzata e ri-finanziata nei mesi scorsi con il famoso prestito ponte da 300 milioni di Euro, ed ora in fase di trasferimento alla cordata Cai; e l’università, oggetto dell’attenzione della Legge 133, che pone i presupposti per la sua formale privatizzazione.
La partita dell’università e quella dell’Alitalia sono collegate. I soldi per il «prestito ponte» (come già ai tempi di Mussi quelli per gli autotrasportatori) sono stati infatti reperiti fra quelli destinati all’università (non sia mai che si tocchi l’Afghanistan!), sicche’ il governo si è trovato «costretto» a tagliarne cosi’ strutturalmente ed indiscriminatamente i costi da creare un’ autentica emergenza per il funzionamento ordinario del sistema (si parla di sedi che già dai primi mesi del 2009 non potrebbero piu’ pagare gli stipendi). L’emergenza ha creato una ghiotta ed immediate opportunità di saccheggio, facile da scorgere anche nel brevissimo periodo, quello che mi pare domini i processi decisionali del capitale. Molto osservatori critici hanno infatti letto nella privatizzazione dell’università un tentativo di condizionare insegnamento e ricerca veicolandoli verso orizzonti di interesse privato piuttosto che pubblico: per esempio privilegiando la ricerca applicata rispetto a quella di base o quella tecnologica piuttosto che umanistica, o magari sopprimendo le voci accademiche più critiche. Una tale lettura è incompatibile con la dimensione del brevissimo periodo tipica del capitalismo spettacolare e con il suo conseguente totale disinteresse per la cultura.
La verità sembra ben più triviale. Infatti, la trasformazione dell’università da ente pubblico a fondazione privata consente, con una semplice delibera del Senato Accademico, accompagnata da un decreto dell’Agenzia del Demanio, di privatizzare il regime della proprietà dell’intero ingentisssimo patrimonio edilizio delle università (cortocircuitando fra l’altro la Corte dei Conti), creando le precondizioni essenziali per la sua agevole vendita. Anche la più resistente fra le università, ridotta alla fame a causa della riduzione del Fondo di Finanziamento Ordinario, finirà per trasformarsi in fondazione privata. È poi ovvio che molto dipenderà dal modello di governance prescelto, ma sembra abbastanza plausibile che questo sarà in parte dettato anche dai finanziatori privati. Una volta operata la trasformazione, la cosa più semplice da fare per reperire risorse è la «razionalizzazione» del partimonio immobiliare, per esempio vendendo i palazzi di pregio in centro e spostandosi in periferia, magari in affitto dai medesimi soggetti che, finanziando qualche cattedra, potrebbero essere seduti in Consiglio di Amministrazione.

Tutto il potere alle corporation

Si sono cioè create per legge le condizioni di una espropriazione della proprietà pubblica a favore di interessi privati, senza nessuna di quelle garanzie (incluso l’indennizzo) che accompagnano storicamente e costituzionalmente i trasferimenti di proprietà privata nella mano pubblica. Un fenomeno largamente simile sta avvenendo per Alitalia. Il più importante asset della nostra compagnia di bandiera non sono infatti gli aerei (ormai piuttosto malandati e vecchierelli) ma gli slots dello spazio aereo, principalmente quelli che collegano Milano con Roma. La Cai si appresta ad essere beneficiaria dell’«espropriazione» a suo favore di quell’ingentissima proprietà pubblica in modo del tutto gratuito, senza che sia previsto alcun «indennizzo» per la collettività, autentica proprietaria degli slots.
Insomma, mentre si fa un gran parlare di ritorno dello Stato nell’economia e della fine della sbronza liberista, si dovrebbero invece scorgere i limiti di una tale analisi semplicistica. Ovunque il modello è sempre più nettamente quello della privatizzazione dei benefici e della socializzazione dei costi. D’alta parte, anche all’apice delle politiche neoliberali e perfino negli Stati Uniti, lo Stato non ha mai cessato di essere uno dei più potenti attori economici, prelevando risorse comuni e trasferendole ad alcuni privati, come per esempio nella «privatizzazione» delle carceri, o in quella della guerra. Funzioni che restano pubbliche nei costi ma che divengono private nei benefici. Il bailout statunitense e la vicenda delle Aerolineas Argentinas mostrano la continuità in questo modello di trasferimento di risorse publiche al corporate power, al di fuori di qualunque preoccupazione per l’interesse pubblico, tanto in fase di privatizzazione quanto di ri-nazionalizzazione.
Dal luglio 2007 al febbraio 2008 una commissione di giuristi ed economisti presso il Ministero della Giustizia, sotto l’autorevole presidenza di Stefano Rodotà ha affrontato le cause strutturali di questo fenomeno e ha presentato il 22 aprile in una sede tanto prestigiosa quanto l’Accademia Nazionale dei Lincei le proprie proposte normative. La riforma, che oggi giace nel cassetto del guardasigilli Angelino Alfano, voleva dare attuazione al dettato costituzionale in materia di proprietà pubblica e scongiurare, per quanto possibile tramite una riforma strutturale del diritto dei beni, questa drammatica situazione che sta depauperando sempre più il nostro paese.

Disarmo del pubblico
L’incremento della presenza dello Stato nell’economia è auspicabile ma, in mancanza di un serio disegno di «riarmo» della Pubblica Amministrazione tale da renderla capace innazitutto di discernere e di decidere in modo adeguato ed imparziale, non potrà arrestare il flusso continuo di risorse pubbliche a favore del capitale privato mosso da primari interessi di accumulazione di brevissimo periodo. L’incapacità strutturale della mano pubblica di decidere in modo razionale è stata confermata dalla legge 133 che apertamente rinuncia a distinguere fra le situazioni virtuose (poche) e quelle viziose (tante) nell’università pubblica. Il trasferimento di Alitalia ad una cordata di speculatori sta impedendo qualsiasi serio rilancio della compagnia. La sua rinazionalizzazione potrebbe diventare invece l’occasione per un settore pubblico «ristrutturato» e di qualità di far volare aeroplani civili e magari di fare ricerca in materia, assorbendo il capitale sociale che imprese in chiusura come Motorola stanno abbandonando sul lastrico.
Questa sarebbe davvero un’inversione di rotta.

La fonte

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