Unilibera – presidio Roberto Antiochia Rotating Header Image

I PREZZI DELLA FRUTTA E DELLA VERDURA E…LA MAFIA

Su L’Espresso del 21/5/009 c’è un articolo che ci spiega come funziona il mercato di frutta e verdura

La mafia è in tavola, tra la verdura e la frutta. Il mercato agroalimentare italiano è strangolato da una catena di vincoli commerciali, squilibri economici e dazi illegali che danneggiano la massa dei piccoli produttori. Favorendo la nascita di nuovi sistemi, poco visibili ma molto insidiosi, di condizionamento mafioso. Per misurare l’assurdità dei meccanismi di funzionamento di questo settore-vetrina del made in Italy, uno dei pochi che in teoria sarebbero in grado di resistere alla crisi, basta entrare in uno a caso dei grandi supermercati all’ingresso di Vittoria, capitale siciliana del pomodoro ciliegino (la versione senza marchio del più celebre Pachino).

Sulla vaschetta-standard da mezzo chilo, l’etichetta documenta che il produttore è un agricoltore locale. Il contenitore in plastica con l’ortaggio fresco, però, risulta confezionato da un grossista di Fondi, in provincia di Latina. Per passare dai campi di Vittoria ai supermercati di Vittoria, insomma, questi pomodorini tondi hanno percorso un viaggio di andata e ritorno di 1.636 chilometri. Un nonsenso finanziario, ambientale ed energetico. Che però non sorprende gli addetti ai lavori, prime vittime di questa e altre distorsioni della filiera alimentare. Che spesso nascondono forme di parassitismo criminale, cresciute fra speculazioni affaristiche e corruzioni. Per capire chi sta mettendo le mani nel piatto degli italiani, ‘L’espresso’ ha ripercorso l’intero cammino degli ortaggi più venduti, dalla raccolta nelle campagne del Sud alla vendita finale negli ipermercati del Centro-nord. Scoprendo nuovi casi di infiltrazione mafiosa. Buchi e truffe nei controlli. Frodi all’ombra del clientelismo politico. E situazioni incontrollabili di rischio per l’ambiente e la salute. La chimica in serra Per sei mesi all’anno, il primo anello della catena alimentare degli italiani sono gli ortaggi freschi coltivati in 4 mila ettari di serre tra Licata, Gela e Pachino. Oggi quei teloni di plastica alti tre metri coprono quasi tutta la piana fino al mare. Dentro non vola una mosca: le piante di pomodoro, selezionate fino a raggiungere una lunghezza di 14 metri, crescono attorcigliate come liane su filari asettici. Il verde è cosparso di polveri bianche: gli antiparassitari, che sfumano all’avvicinarsi del raccolto. Al centro della rete produttiva c’è il mercato ortofrutticolo di Vittoria, che è il più grande del Sud: un alveare di box che nell’ultima annata agraria, chiusa al novembre 2008, ha smerciato 2 milioni e 441 mila quintali di verdura (e 144 mila di frutta). I soldi si fanno tra ottobre e maggio, quando il resto d’Europa è improduttivo. Pomodori e peperoni, melanzane e zucchine sono coltivati da 3.500 piccole imprese, che per la Sicilia sono una specie di Fiat. Un’agroindustria fondata sulla chimica. “Se vogliono vendervi pomodori biologici in dicembre , significa che vi stanno truffando”, riassume il responsabile tecnico di una delle maggiori imprese di Vittoria, che esporta ciliegini anche in Gran Bretagna per mezzo milione di euro al mese. “La nostra è una chimica sicura, se non controllassimo la scadenza di tutti pesticidi non potremmo vendere nei supermercati inglesi o tedeschi, che sono sorvegliatissimi”. La prima lezione, dunque, è che il biologico vero è solo di stagione. La seconda è niente nomi: siamo in Sicilia. La terza è che in alcune serre modernissime (per ora, una su cento) le piante poggiano adddirittura su tappeti in fibra di cocco, che dosano i fertilizzanti “come in Olanda”. La visione ha un che d’irreale: le radici ormai non toccano più il terreno salino che ha reso famoso nel mondo il sapore dei pomodorini siciliani. Ma per i professionisti dell’agroindustria, il sole senza plastica è una nostalgia fuori dal tempo. “Qui è tutto controllato, c’è molta più chimica sporca nelle colture all’aria aperta”. Un salariato ultrasessantenne taglia corto: “Io me li ricordo gli anni in cui mio padre proteggeva i pomodori dal vento con le pale dei fichi d’india. Allora la chimica non c’era e noi contadini pativamo la fame”. È soprattutto la massa dei produttori minori, quelli da un ettaro e mezzo di serre a testa, a scagliarsi contro i “troppi controlli e registri”: “Le ispezioni sui pesticidi bisognerebbe farle nei supermercati, sugli ortaggi coltivati chissà come e dove”. Gli agricoltori alludono così alle falsificazioni alimentari più pericolose: prodotti al veleno venduti nelle confezioni dei pomodori sani. Alla base di queste truffe di stampo mafioso c’è un’incapacità politica, nella migliore delle ipotesi, di controllare gli anelli più ricchi della catena alimentare.

0 Comments on “I PREZZI DELLA FRUTTA E DELLA VERDURA E…LA MAFIA”

Leave a Comment