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Libera Informazione in terra di Mafia

L’anima malata dell’odierna università s’è svegliata dall’incubo-Gelmini per un paio d’ore l’altro giorno. Mercoledì 15 Ottobre il rumore dei megafoni ha lasciato il posto al microfono della Libera informazione negli ambienti mafiosi.
L’aula 35 di Palazzo Nuovo ha accolto i protagonisti della tappa torinese della Carovana Antimafia nazionale, vestendosi con il camice della legalità internazionale e incrociando le proprie orecchie con i baffi del giornalista dell’emittente televisiva Telejato.
Dopo una presentazione della Carovana da parte del responsabile di Libera Piemonte, Davide Mattiello, il viaggio salpa dalla mano di Tonio dall’Olio, responsabile di Libera Internazionale; il suo discorso stringe i due lacci del momento attuale, il dare di dovere un Pubblico Sapere e il suo ruolo come malta che permei le infiltrazioni Malsane Mafiose. Indossa il camice divenuto simbolo del quotidiano manifestare universitario, cita il maestro Don Milani, “ la legalità è il patto di lealtà che l’ individuo stipula con la comunità a cui sente di appartenere”, addolcisce la spiegazione dell’apologia di reato legata alla legge Mancino.
Stringe intorno al collo delle responsabilità personali, il farsi e darsi carico della società ricordandosi sempre che senza conoscenza si cade nella perdita della libertà.
E quindi lascia libera parola a Marco Nebiolo, redattore di Narcomafie, moderatore dell’incontro. Il giornalista ha come compito il dipingere la figura di Pino Maniaci, posto al suo fianco, come uno dei pochi che in terra di mafia è rimasto in piedi, ritto davanti alle minacce ma sempre seduto dietro la cattedra della Libera Informazione.
Fin qui lo studente presente, una persona presumibilmente conscia del momento che sta vivendo, immerso in un’aula piena di colleghi, ha percepito sicuramente delle emozioni forti, vive. Ma il Memento Veritatis deve ancora arrivare.
Pino Maniaci prende finalmente posto nel Discorso, e chiede di poter raccontarsi per aneddoti. Perché all’affermazione fatta sulla sua mancata iscrizione all’albo dei giornalisti non osa rivendicare quell’impossibile titolo ma rimarca che per riportare i fatti non servono cariche o incarichi ma esperienze, storie.
In nove anni d’attività giornalistica, passati sempre dentro al triangolo delle Bermuda (Partinico, Corleone e Cinisi), ha chiamato per nome chi dai nomi si estranea, ha mostrato le facce di chi non tiene pulite le mani, ha chiesto l’abbattimento dei simboli del Secondo Stato.
Ha diversi punti di riferimento su cui ferma l’attenzione dei suoi concittadini; la Distilleria Bertolino per esempio, accusata d’inquinamento ambientale, oppure le stalle costruite illegalmente dal clan Fardazza. Se la Distilleria ha risposto alle accuse di Telejato con 200 querele, la famiglia dei Vitale ha cercato in due occasioni di fermare Maniaci; il giornalista infatti racconta una prima aggressione, successa in pieno centro all’ora di punta ma che non ha trovato riscontro da parte di possibili testimoni, e un seguente incendio della sua macchina.
Nel descrivere i lividi dell’aggressione non perde il tono fermo della voce, ma non rimane indifferente nel raccontare che anche i suoi due figli, entrambi impegnati nella raccolta di notizie, hanno incrociato più volte gli sguardi dei mafiosi.
‘Come si fa informazione quotidiana in terra di mafia?’, Maniaci aspetta un attimo, guarda la moglie Patrizia e risponde che a lui la mafia non impedirà mai di andare avanti; ‘benché esista non è che un fenomeno umano, con un inizio e una fine’.
Il citare Borsellino, guardare davanti a sé un pubblico che si emoziona, ricordare che in quel momento un boss della mafia da lui denunciato è appena uscito dal carcere non gli impediscono di mantenere sempre un ritmo di ironica canzonatura sicula, un sorriso che morsica la banalità della moderna informazione.

‘La Sicilia non ha bisogno di eroi, ha bisogno di persone che ogni giorni cerchino di riscattare la legalità’ Pino Maniaci

http://www.telejato.it/

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